Quegli avvisi a mezzo stampa delle procure

Nella tradizione giudiziaria italiana l'indagato è sempre l'ultimo a sapere

Quegli avvisi a mezzo stampa delle procure
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Fa quasi tenerezza che ieri, in Senato, Daniela Santanchè per parlare dei suoi problemi giudiziari dica «non ho ricevuto nessun avviso di garanzia»: come se da quarant'anni non facesse ormai parte del vissuto quotidiano del paese la certezza che le inchieste penali sono un po' come i tradimenti coniugali, e il diretto interessato è sempre l'ultimo a saperne. Che l'elenco meticoloso, preciso, dei reati contestati al ministro del Turismo fosse - il giorno stesso in cui la Santanchè era attesa in Parlamento - ospitato sulla prima pagina del Domani può stupire solo un turista inglese o belga o di qualunque altro paese dove il segreto istruttorio sia una cosa seria, capitato per caso in Italia. Ovvero in un paese dove l'iscrizione nel registro degli indagati, che dovrebbe essere l'atto segreto per eccellenza, è pane quotidiano dapprima delle cronache giudiziarie e poi dei regolamenti di conti politici. E dove a essere svelate in diretta al grande pubblico sono spesso e volentieri le iscrizioni - come nel caso del ministro - «segretate»: specificazione ulteriore, apparentemente superflua e alla prova dei fatti del tutto inutile. Tutto è pane per cronisti.

Sul perché e come questo accada ogni opinione è lecita. Tra le poche certezze c'è quella offerta di recente dall'ex direttore del Corriere della sera Paolo Mieli, che ha raccontato come la madre di tutte le fughe di notizie, quella del '94 sull'avviso a Berlusconi, venisse direttamente dalla Procura di Milano. Potrebbe essere stato un caso isolato, o forse no. Le fughe si dividono peraltro in due categorie: quelle che fanno comodo ai pm e quelle che li fanno arrabbiare. Sulle prime non si indaga, con le altre si usa la mano pesante: quando in Puglia due cronisti scrissero che il governatore Emiliano era indagato la Procura li incriminò per favoreggiamento, come se avessero voluto aiutarlo a schivare le indagini; e furono fortunati a non venire arrestati come toccò invece a due cronisti di Palermo che dovettero dormire due notti all'Ucciardone, o nel 1985 a Paolo Longanesi del Giornale che fu spedito in cella per una fuga di notizie: a mandarcelo fu un giovane pm di nome Piercamillo Davigo, e sarebbe inclemente rileggere quell'episodio alla luce dei recenti guai giudiziari del Davigo medesimo.

Lo scoop del Domani sulla Santanchè ha anche il merito di tranquillizzare il sindacato dei giornalisti, che temeva che le norme introdotte dall'ex ministro Marta Cartabia per regolamentare le notizie su inchieste e processi si sarebbero tradotte in un bavaglio alla stampa. Invece come si vede non c'è legge che tenga, e accanto alle conferenze stampa e ai comunicati ufficiali nei tribunali e nelle procure vivrà per sempre la nobile prassi dello spiffero, che poi è quello che rende la cronaca giudiziaria degna di essere letta. Che questo si traduca in una gogna per dei presunti innocenti importa davvero a pochi, i giornali si indignano solo per gli scoop altrui, i politici solo per gli avvisi ai sodali e agli alleati. Il nuovo ministro Carlo Nordio avendo vissuto a lungo in una Procura sa come vanno le cose, cioè che il registro degli indagati «dovrebbe restare segretissimo e invece si è trasformato in un'automatica fonte di delegittimazione di una persona che non è nemmeno imputata».

Ma il rimedio può essere non iscrivere i nomi nel registro, evitando o rinviando un atto che in teoria sarebbe previsto a difesa dell'indagato? L'allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone una volta invitò i suoi pm a andarci piano con le iscrizioni, destinate ad avere «aspetti innegabilmente negativi sul piano professionale e reputazionale». Dopodiché non è cambiato niente.

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