Dietro la festa per la Sardegna, restano ombre lunghe nel «campo largo». E lo fa notare anche il padre dell'Ulivo: «Il problema del centrosinistra è che tutti puntano a mantenere la propria posizione», dice Romano Prodi, ci vorrebbe qualcuno che «abbracci la missione unitaria». Chi? Neppure lui ne ha idea, ma certo non crede possano essere Schlein o tanto meno Conte. La tappa cui si guarda ora non è tanto l'Abruzzo (considerato difficile) quanto la Basilicata. Lì possibilità di vincere ci sarebbero, ma manca il candidato. Quello sponsorizzato da Roberto Speranza, l'imprenditore sanitario Angelo Chiorazzo, è stato affondato da mezzo Pd e anche - con virulenza - da Conte. E sì che l'ex ministro della Sanità, fedelissimo di Giuseppi, aveva assicurato: «Tranquilli, lo convinco io». Ora si cerca un nome «terzo» su cui accordarsi: il Pd lo vorrebbe di area Pd, Conte vorrebbe Speranza medesimo, che però di farsi ingabbiare a Potenza non ne vuol sapere: «Gioco in Nazionale, e mi volete far tornare in serie B?». Poi c'è il Piemonte, ma Conte non intende fare alcuna alleanza: «Lì si perde sicuro, Cirio è bravo, chi me lo fa fare?», ha spiegato a Nicola Fratoianni.
La prima reazione dell'ex premier alla vittoria comune sarda è stato un dito nell'occhio a quei «guerrafondai» del Pd, con l'irridente suggerimento a Zelensky di togliersi «gli abiti militari»: in pratica, un invito alla resa all'invasore russo. E un messaggio reiterato: le intese si fanno quando a decidere nome e programmi è lui. «Noi però abbiamo il doppio dei voti», ripetono dal Pd per rassicurarsi. «Ma se si sommano i nostri a quelli della lista Todde siamo solo a due punti dai dem», avverte Paola Taverna. Sottinteso: alle europee le liste civiche non ci saranno, e la distanza tra Pd e 5S potrebbe accorciarsi vertiginosamente. Con un sospetto che cresce tra i dem: «Siamo sicuri che alla fine Conte si presenterà al voto con il marchio un po' frollo di M5s? O si inventerà qualcosa più a sua misura e somiglianza?». Circolano voci di sondaggi discreti sull'appeal di un «Conte», o un arcobaleno pacifista (una bandiera russa sarebbe troppo) nel marchio. Anche per imbarcare chi grillino non è, e erodere Pd e sinistra. In attesa delle elezioni Usa: un ritorno dell'amico Trump rafforzerebbe assai le chance contiane di prendersi il volante per tornare a Chigi.
Elly Schlein, con gli intimi, non nasconde per nulla la sua scarsissima simpatia per Conte. Ne sanno qualcosa quei dirigenti dem che, ogni volta che sui media attaccano pubblicamente il capo grillino, si vedono recapitare messaggi e plaudenti emoji dal Nazareno. «La minaccia vera per Schlein e la sua leadership non sono certo i riformisti Pd o la fronda interna: è Conte. E lei lo sa benissimo», spiega un esponente di primo piano.
Anche perché la Quinta colonna contiana del Pd ha immediatamente rialzato la testa, dopo la vittoria sarda: da Franceschini a Zingaretti, da Bettini a Bersani a Boccia, sono molti i dirigenti di peso che preferirebbero di gran lunga fare i numeri 2 (e in prospettiva i ministri o simili) di Giuseppi leader della coalizione, che fare i numeri 3,4 o 12 di Elly, che «dà corda solo ai suoi fedelissimi di Occupy Pd».
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