ANDREOTTI GIULIO
«Morto un Papa, si dice, se ne fa un altro. Ma, morto Andreotti, si rifà Andreotti». (17/4/91)
«Sembra che un rotocalco sia riuscito a istallare un microfono nel confessionale della chiesa dove il presidente del Consiglio va ogni mattina a purgarsi dei suoi peccati. Ma senza risultati: nel confessionale, Andreotti tace più che dovunque altrove. Tanto, Dio lo sa già». (1/12/91)
«Per lui il Bene consisteva solo in un accorto sfruttamento del Male... Ecco Andreotti. Non il Grande Vecchio, che esiste soltanto nella fantasia dei dietròlogi. Ma il garante e il custode del sistema: il sistema delle tangenti e della mafia, anche se le sue mani risultassero monde delle une e dell’altra. Ringraziamo i giudici di avercene liberati. Ma il giudizio finale su di lui è competenza più nostra che loro». (29/3/93)
«Il processo ad Andreotti non può essere impostato sul piano penale... Quello che attende Andreotti, e che Andreotti non può evitare, è un processo politico. Per dimostrare ch’egli è uno dei massimi, se non il massimo responsabile dell’abisso di corruzione e di malaffare in cui è precipitato il sistema, non c’è bisogno né di autorizzazione a procedere, né di prove. È stato, o non è stato lui, la figura più eminente e rappresentativa di questo sistema? Nessuno può dubitarne. E dunque sia lui, prima e più di ogni altro, a risponderne». (4/4/93)
COSSIGA FRANCESCO
«Il punto debole di Cossiga è un altro: il suo sistema nervoso, cioè la fucina dei suoi umori. Cossiga appartiene a quella varietà di soggetti che gli psichiatri chiamano, se non sbaglio, ciclotimici, e che alternano fasi di depressione a fasi di euforia. Il primo Cossiga che ho conosciuto era un uomo malinconico, introverso, afflitto da insolubili problemi esistenziali, cui nulla sembra più incompatibile di una carriera politica... e oggi eccolo qui: pimpante, ubiquito, logorroico... Fu De Mita a regalarcelo, nel momento in cui era il padrone di tutto, anche del Quirinale. E mai uomo più giusto fu messo nel posto più sbagliato». (29/10/90)
«Si dirà (e infatti si dice): ma come può Cossiga diventare il demolitore di un sistema del quale è egli stesso l’incarnazione e il garante? Appunto. A darci la misura dello sfascio del sistema è proprio questo: che a denunziarlo e a precipitarlo sia costretto, in mancanza di altri, proprio colui che dovrebbe garantirlo». (17/11/91)
«Quanto delle sue picconate gli salisse dalle viscere, e quanto gli venisse strapazzato dagli osanna della piazza, è difficile dire... Ma ora deve dirci fino a che punto condivide l’opera di demolizione cui diede il via, e cosa ne ripudia, se ne ripudia qualcosa. È stato il precursore di una rigenerazione, o il mandante di uno sfascio?». (3/10/92)
CRAXI BETTINO
«Mentre il partito di Occhetto si divide in correnti, le correnti in sottocorrenti, le sottocorrenti in gruppi e gruppuscoli, ognuno in cerca d’autore e di se stesso come certi personaggi di Pirandello; a credere, obbedire e combattere è il partito di Craxi che una bella mattina decide di cambiargli nome e ragione sociale, e nessuno fiata. E se un Ugo Intini, faccio per dire, osasse farlo, Craxi sarebbe capace di cambiar nome anche a lui, imponendogli di chiamarsi Agamennone o Vercingetorige». (7/10/90)
«Nenni era un padre, e lo rimase a vita; Craxi è un padrone che, se cade, lo sbranano. Intorno a sé non ha né amici né alleati; ha solo servitori o, nel migliore dei casi, tributari. Non tollera contestazioni... Ed anche il suo modo di parlare sempre volgendosi di trequarti, ora a destra ora a sinistra, non è di riguardo per chi gli sta di lato, ma di disprezzo per chi gli sta di fronte». (15/7/91)
«Col vento in poppa, Craxi navigò benissimo tenendo in pugno la ciurma, anche se mostrava una inquietante tendenza a trattare come tale non soltanto il suo partito, ma tutta l’Italia. Per lui non sono mai esistite che due categorie di persone: i nemici e i servitori. Chi non rientra nell’una non può appartenere all’altra. Il motto di Ledru-Rollin “Sono il vostro capo, quindi vi seguo” non è mai stato il suo. Per il semplice motivo che Craxi non ha la stoffa del capo; ha quella del boss, del padrone, anzi del padrino. Come tutti i padrini, infatti, ha avuto il suo punto debole nella famiglia, con cui non lo è stato abbastanza, anzi non lo è stato punto». (17/12/92)
«Craxi i consigli non li accetta; accetta solo gli osanna». (28/2/93)
DE MITA CIRIACO
«“La famiglia è sacra!” ha tuonato l’altro giorno in un polemico intervento l’on. De Mita, che del sacro, viste le applicazioni che ne fa, deve avere un concetto piuttosto personale. Fino a suggerire l’impressione, certamente errata, che per lui anche lo Stato, il governo, il partito e tutto il resto siano cose da gestire fra zii, nipoti e cugini, e alla peggio, da contrattare con gli zii, i nipoti e i cugini di qualche altra famiglia». (7/12/88)
«De Mita e Occhetto. Due signori coi quali non vorremmo avere in comune nemmeno il trombaio». (18/7/90)
FORLANI ARNALDO
«Perché, non amando il potere, Forlani faccia il politico non lo so. Non certo per il denaro: il tono di vita della sua famiglia è decoroso, ma niente di più, e la moglie vi contribuisce insegnando e risparmiando dal parrucchiere quello (e non è poco) che vi spende lui. Una volta Forlani mi disse che fa il politico un po’ perché non sa fare altro, un po’ perché è un mestiere che volendo (e lui lo vuole, fortissimamente), esenta dal lavoro, almeno a quello a tempo pieno e orari fissi». (12/10/92)
LA MALFA E MORO
«La Malfa inizia la sua giornata alle 5 del mattino... quando alle 7 esce di casa, ha già letto tutti i giornali, scritto alcune dozzine di lettere, e messo mentalmente a punto un certo numero di “modelli di sviluppo”. Moro apre gli occhi verso le 11, ma fino a mezzogiorno è come se li avesse sempre chiusi perché ha la pressione bassa, e per carburare ha bisogno di tempi lunghissimi... In nessuno degli uffici di cui è stato titolare lo hanno mai visto giungere, già stanchissimo del lavoro che dovrà fare, prima dell’una, quando i funzionari escono per la pausa del desinare. Dicono che lo fa apposta per assicurarsi un altro paio d’ore di solitaria meditazione. Il pieno possesso delle proprie facoltà lo raggiunge sul far della sera, quando La Malfa comincia a perdere le sue... Il loro incontro può essere proficuo e il loro colloquio facile, come di solito lo è fra uno che parla e uno che tace, essendo del tutto irrilevante ciò che Moro penserà dentro di sé delle parole di La Malfa, e La Malfa dei silenzi di Moro». (21/11/74)
MARTELLI CLAUDIO
«Visto da lontano (da vicino non ci è mai capitato), Claudio Martelli non ci sta molto simpatico. Dicono che le donne lo trovino bello, e ce ne dispiace per loro perché Martelli bello non è; è bellino, che è tutt’altra cosa. Somiglia a quell’esecrabile cantimbanco che si fa chiamare Little Tony, e sembra che se ne contenti perché non fa nulla per differenziarsene». (10/9/92)
MORO ALDO
«Moro cominciò a morire da quando, più di vent’anni fa, ottenne il suo primo importante “scatto di grado” con la nomina a ministro della Pubblica istruzione, e da allora non ha più smesso. Anzi, tutti i suoi ritorni in scena furono sempre preceduti e sottolineati da un rullio basso di tamburi, come quello che nei melodrammi accompagna il passaggio sulla scena dei condannati, e da premonizioni listate a lutto. C’è gente che passa la vita ad aggiornare il necrologio di Moro. E noi stessi teniamo nel cassetto un “coccodrillo” che, a furia di aggiunte e postscritti, sta acquistando dimensioni chilometriche». (31/10/74)
«Moro fu certamente l’unico capo democristiano, dopo De Gasperi, ad avere non soltanto una tattica, ma anche una strategia. In quella dei cedimenti e ripiegamenti fu un maestro». (17/3/88)
PERTINI SANDRO
«Nenni parlava di lui con affettuosa condiscendenza, come di un “compagno” coraggioso, onesto e generoso, ma balzano e imprevedibile, che non sapeva nulla di politica, anzi non sapeva nulla di nulla. “Noi - diceva Nenni - qualcosa abbiamo letto, grazie a Mussolini, quando ci sbatté in galera o al confino, dove non c’era altro da fare. Ma Pertini non leggeva nemmeno lì. Nel poco tempo che gli avanzava dallo scopone e dal tresette, non gli ho mai visto in mano che l’Intrepido”». «Pertini sarà, come apparato ideologico, deboluccio: al suo posto ha soltanto un frullato di parole maiuscole (Popolo, Umanità, Libertà, Giustizia, Resistenza, soprattutto Resistenza)... Rimarrà indelebile nella nostra memoria e nel nostro cuore come il Presidente che ha incarnato al meglio il peggio degli italiani». (23/6/85)
«Carezzò più teste di bambini di una balia - lui che li aveva più in uggia di Erode - e pianse su ogni bara che gli passava a tiro purché passasse a tiro anche di qualche macchina da ripresa, fino a rubare al defunto la parte di protagonista». (25/3/91)
SCALFARO OSCAR LUIGI
«Se non l’uomo della Provvidenza, certo l’uomo dell’emergenza: un presidente per disgrazia ricevuta». (25/5/92)
SEGNI MARIO
«Quando si presenta in televisione, le rare volte che ne
accetta l’invito, dà l’impressione di trovarcisi a disagio, e non assume mai, anche se gli spetta, la parte del protagonista. Il che gl’impedirà, in una politica di spettacolo come quella italiana, di diventarlo». (5/1/92)- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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