Rai, ecco perché Monti cerca un incidente per andarsene a casa

Prima della sfida sulle nomine Rai, è stato tentato dalle dimissioni. Troppi conflitti coi partiti e contrasti nel governo: ecco perché Monti cerca l’incidente

Rai, ecco perché Monti cerca un incidente per andarsene a casa

Roma - Quella strana sensazione da «non si può più andare avanti co­sì» si respirava già dalla mattina. I tecnici non sono mai stati così stan­chi. La «fase due» che non decolla, la crisi un tunnel troppo lungo, i mi­nistri che cominciano a mandarsi a quel paese l’uno con l’altro, la maggioranza che pensa al futuro, con il Pd e il Pdl in cerca di una defi­nizione, Grillo che urla, l’Europa che latita e non fa nulla e Monti sempre più nervoso, a reggere sul­le spalle il suo destino e quello del­l’Italia. È in questo clima che cade nel piatto della politica la questio­ne delle nomine. C’è da scegliere il presidente della Rai, più una serie di poltrone delle fantomatiche au­thoritydovepiazzarequalcuno. So­no giorni che se ne parla e l’inca­stro non si sblocca. E qui Monti fa uno di quei colpi di testa che non ti aspetti da un rettore. Dice: faccio a modo mio, scelgo io. L’affare buro­cratico diventa politico. Che fa il premier? Dopo una giornata di mo­vimenti sotterranei, di colloqui for­se inutili con i partiti, fa un passo border line, qualcosa che cambia il modo di governare la Rai. Indica Anna Maria Tarantola presidente della tv di Stato e Luigi Gubitosi di­rettore generale. Lasciamo per un attimo da parte i nomi, sono espres­sione di un mondo vicino all’ex rettore. Non importa. Il problema è un altro. Non è normale che il go­verno li faccia, in particolare quello del direttore generale, la cui nomi­na spetta al consiglio di ammini­strazione Rai, che ancora non è sta­to nominato. Quelli che di queste cose se ne intendono cominciano a parlare di colpo di mano. Di pro­cedura ai limiti della legittimità. Qui si apre il problema politico. Per­ché Monti ha fatto questa mossa? O è un pasticcio, roba da incompe­tenti. Ma non è così. Oppure la scel­ta è consapevole. Quello che si so­stiene nei corridoi del Palazzo è che il premier voglia andare a vede­re le carte dei soci di maggioranza che sostengono il governo. Cioè Pd e Pdl. Lui, Monti, dice: «Non è una prova di forza». Ma il fatto che lo di­ca sembra un bluff. Il sospetto è che il premier sulla questione Rai stia dicendo a Bersani e Alfano: o ratifi­cate i­l mio colpo di mano oppure as­sumetevi la responsabilità di man­darmi a casa. Ne avete la forza? Ne avete il coraggio? Siete disposti a pagarne le conseguenze o a incas­sare i sacrifici?

A voi la scelta. Qui si vedono le vostre carte. Io- sostiene - non sono disposto a farmi strappa­re la pelle giorno dopo giorno.

Questa tesi trova una mezza con­ferma dalle voci che per tutto il po­meriggio aleggiavano, sotto voce, tra i parlamentari dell’una e l’altra parte. Cose del tipo: Monti è esaspe­rato. Monti è preoccupato per le condizioni di salute della moglie. Monti è deluso dei partiti. E perfi­no: Monti sta salendo al Quirinale per chiedere e concordare con Na­politano un reincarico. Un modo per dare un segnale a tutti e per ma­gari liberarsi di un paio di ministri troppo difficili o ingombranti. Ipo­tesi. Suggestioni. Eppure ci si legge un fondo, spesso, di verità. C’è sta­ta infatti una telefonata di Mario a Giorgio in cui lo informava di quel­lo che stava facendo. Il presidente, sembra, abbia invitato il premier a resistere.

Quello che appare in conferenza stampa, alle nove e trenta della se­ra, è un premier lucido, determina­to, che ogni tanto butta lì una spruz­zata di ironia, anche simpatica. So­lo­che negli occhi ha la consapevo­lezza di chi non ci tiene a sacrificar­si in un’estate da governo balnea­re, mentre il resto del Paese pensa a come rigiocarsi l’eterna partita del potere. Se questo governo deve proprio andare avanti che ci vada con la convinzione di tutti. Solo che an­che il premier e i suoi uomini han­no le loro responsabilità. Questo governo ha affievolito gli entusia­smi di partenza. Non ha risolto al­cun problema in agenda. Non ha dato una via d’uscita alla crisi e ha caricato gli italiani di tasse. Non c’era altra strada? Forse. Ma nella testa di molti resta la speranza di una politica per crescere. Non c’è. Non si vede. Quello che si vede so­no i ministri che litigano. Non è un mistero che, al di là della «collabo­razione», come ha ribadito Grilli, il trio Grilli, Passera e Catricalà (sottosegretario alla presidenza del Consiglio) ha avuto parecchio da discutere nelle ultime ore, an­che alla presenza di Monti. France­sco Profumo si è visto sotterrare la riforma della scuola e dell’universi­tà.

Ci sono segnali di insofferenza evidenti. Ieri il ministro della Giustizia Paola Severino ha chiarito che se il «suo» ddl anticorruzione non trova l’accordo dei partiti o non passa la fiducia, si va tutti «a ca­sa». Passera e Fornero si beccano dall’inizio.La stessa Fornero ha di­scusso sugli statali con il Patroni Griffi, ministro della Funzione Pub­blica. La Severino si è infuriata con Salvatore Mazzamuto per un erro­re nel decreto anticorruzione.

Monti ha strigliato il ministro Terzi sulla questione Marò e Passera per eccesso di loquacità sull’inchiesta Finmeccanica. Troppo nervosi? Non è colpa loro. È difficile fare le ri­forme e salvare il Paese davanti a una dura realtà. In cassa non ci so­no più euro.

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