Roma - Non è qui, la festa. A dire il vero, neppure la battaglia. Anche il partito: c'è e non c'è, forse semplicemente «ci fa». Dal neutralismo dell'inno di Mameli al nientismo delle bandiere. Quello che si vede nella sala dell'Ergife, alla Convenzione del Pd, è ormai assai diverso da quello che resta fuori, i «noi» e i «loro» per usare una benigna distinzione di Fabrizio Barca. In stragrande maggioranza il partitone che fu se ne sta a casa: i vecchi capatàz, gli elettori disgustati, i capatàz delusi e disgustati - e non si quanti ne usciranno per consentire il trionfo di Renzi ai gazebo dell'Immacolata.
Una carezza di Cuperlo al vincitore dei circoli (45 per cento a 39, il dato definitivo) e si fa la conta dei dispersi. Manca D'Alema e manca Veltroni, non si presenta Bersani e diserta Marini, c'è il capo dei deputati Speranza ma non quello dei senatori Zanda. Dei ministri soltanto Franceschini, che s'è ritagliato il ruolo di pacificatore tra Renzi ed Enrico Letta. Il premier non rovina la scena, prudentemente si tiene alla larga, annuncia che voterà alle primarie. Segue messaggio da Palazzo Chigi: Letta si trincera dietro il partito, «dalla crisi si esce tutti assieme» e addita il nemico, «il populismo rabbioso». Beppe Grillo vi si riconoscerà e ci andrà a nozze, poco dopo, tramite blog: «Vi cancellerò».
Parla Guglielmo Epifani, la balia asciutta riuscita a tenere in vita i Dioscuri prima dello scannamento generale (generazionale) e balza sul cavallo del Ventennio: «Le frasi di Berlusconi sono sgangherate e irricevibili, noi voteremo la decadenza non per colpire un avversario politico, ma perché la legge sia uguale per tutti. Lui non ha né la forza né la ragione, sta solo creando un clima pesante, che finirà per non fare bene né a lui né al Paese». Dei tre candidati che restano in gara per le primarie (Pittella appoggerà Renzi, felice del suo quasi 6 per cento), Civati rappresenta il Buono: s'emoziona, sta per «morire di sete», prontamente soccorre la borraccia di Renzi, che i cronisti della fanfara s'affanneranno a paragonare a quella di Bartali a Coppi. «Partito d'amici», commenta Civati, ma l'ironia gli rimane nel gargarozzo. Cuperlo è il Bello che si sa: elegante e forbito, prova a gareggiare in aut aut a Letta: «Il governo non ha più alibi, non c'è una sola ragione per cui dovremmo aspettare il 9 dicembre». In punta di fioretto l'assalto a Renzi, sul doppio incarico segretario-sindaco e sulle sue politiche che assomigliano tanto a quelle della destra, ma «noi non siamo il volto buono della destra».
Tocca al Cattivo del western, Renzi, con un discorso dimesso e scontato almeno quanto l'abbigliamento. «Non possiamo essere neppure il volto peggiore della sinistra» ribatte a Cuperlo. Farà anche il sindaco, annuncia, e detta l'agenda a Letta. Stanno cambiando i rapporti di forza, e Renzi promette di non fare «sgambetti».
Però il premier «ha usato molto della nostra lealtà, pazienza e responsabilità, da oggi deve usare le nostre idee e il nostro coraggio per essere efficace, altrimenti le larghe intese restano il passatempo per superare il semestre Ue». Taglia corto anche sul sistema elettorale: maggioritario senza ambiguità. Cambia la musica, per ora ciò che s'ode è solo la campanella dell'ultimo giro per Letta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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