Fuori i partiti dalla Rai, urlava Bersani. Peccato, però, che Bersani abbia cacciato soltanto i telespettatori, trasformando il Tg1 di venerdì sera in Tele Pd. La Rai non si smentisce e si prepara all'ennesima lottizzazione. Bastano le primarie della sinistra per vedere come il Pd ci sta e con tutte le scarpe da millepiedi. Il Tg1 dell'altra sera è un perfetto esempio. Bisogna intervistare il buon Bersani e il telegiornale principe dello Stato regala sette minuti interminabili con il faccione del segretario del Pd che snocciola proverbi e ricette fatte in casa. E poi come contorno (...)
(...) dona quattro minuti a Renzi e tre scarsi a Tabacci, Vendola e Puppato. Il risultato è un paninone indigesto di quasi quindici minuti che fa scappare i telespettatori, i quali pur non di guardare tele Pd e dintorni schiacciano sul telecomando e si trasferiscono su Mediaset. I dati auditel registrano così il sorpasso del Tg5 sul Tg1: 21,5 a 21 per cento. È il segno che la gente si ribella all'occupazione di Bersani e compagni, è il segno che la gente non ne può più di una Rai serva dei partiti, irriformabile, incapace di una qualsiasi metamorfosi e autonomia.
Ma il risultato non ha scoraggiato quelli del Tg1 targato Pd, che ieri hanno pensato, dopo la cena, di rovinare agli italiani anche il pranzo, bissando, il paninone delle primarie, questa volta, però, di solo nove minuti.
Insomma, uno spettacolo triste. La Rai dei tecnici resta un'ancella dei partiti, un posto dove l'intrattenimento è povero, la cultura è periferica e i telegiornali continuano a misurare l'informazione con i minutaggi del manuale Cencelli. Solo che adesso hanno azzerato la par condicio, convinti che a vincere sarà la sinistra o che al massimo si arrivi a un pareggio tecnico. Magari in attesa di capire che farà Berlusconi e dove andrà il Pdl, perché in Rai non si butta mai via niente. Si accantona e si mette in magazzino. Non si sa mai quello che riserva il futuro e tutto può servire.
Mamma Rai in fondo è il ventre e lo specchio dei difetti degli italiani, quella parte gattopardesca che resiste a ogni cambio di vento, il tengo famiglia scritto sulla pancia, l'istinto di chi va sempre in soccorso del vincitore, l'abitudine a scambiare voti con posti e favori. È da lì, da questo vizio antico, che derivano sprechi, intrallazzi, partitocrazia e tutti i malanni della politica. E purtroppo l'unica cosa certa è che nella storia di questo Paese mai nessuno è riuscito a rottamare tutto questo. A noi non resta che pagare il canone, che alla fine è una tassa morale. È la tassa sui nostri vizi. Paghiamo il canone per scontare i nostri peccati originali.
segue a pagina 6
Bracalini e Cesaretti a pagina 6
di Salvatore Tramontano
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