Rehn, l'eurosponsor di Monti stroncato dagli economisti

I massimi esperti mondiali bocciano il commissario che ha imposto l'austerità all'Europa. E che in campagna elettorale esaltava il premier: ha salvato l'Italia

Il commissario agli affari economici Olli Rehn
Il commissario agli affari economici Olli Rehn

Il finlandese Olli Rehn lo conosciamo bene anche noi italiani. Il Commissario europeo per gli Affari economici non ha fatto campagna elettorale da queste parti, ma è come se. Ad ogni tranvata presa dal candidato Mario Monti spuntava lui, la sua stampella parlante, sempre pronta a ricordare in eurovisione i meriti del Professore e le colpe dei suoi indegni avversari. Se le sue accorate difese delle ricette dell'Europa e del professor Mario Monti vi suonavano strane o addirittura astruse non preoccupatevi. Siete in buona compagnia. La conferma arriva da El Pais. L'autorevole quotidiano spagnolo, non certo tacciabile di populismo, né di pregiudizi antieuropei, raccoglie in un articolo intitolato «Olli Rehn, verdetto colpevole» le opinioni di dieci grandi economisti internazionali chiamati a esprimersi sulle politiche di Rehn e della Commissione europea. Più che un verdetto è una garrotata. Otto su dieci pareri sono assolutamente negativi. E gli unici due parzialmente favorevoli appaiono alquanto di parte. Uno è siglato da Guntram Wolff, direttore di Bruegel, il think tank europeo fondato e presieduto a suo tempo dallo stesso professor Mario Monti. L'altro giudizio parzialmente scagionante arriva da José Manuel González-Páramo, un professore a libro paga della Bce. Ma non è questione di numeri bensì di sostanza. Per otto dei dieci luminari dell'economia internazionale Rehn non è solo colpevole, ma anche miope e dogmatico. E per alcuni persino socialmente e politicamente pericoloso. «Qual è la risposta di Rehn alle notizie disastrose che arrivano dall'Europa? - si chiede il Nobel per l'Economia Paul Krugman - Che dobbiamo smettere di prestar fiducia a questi rapporti economici, perché minano la fiducia nella austerità! Queste persone hanno già fatto danni enormi e hanno il potere di continuare a farlo».

Luis Garicano affonda ancor di più la penna. Il docente della London School of Economics arriva ad ipotizzare che il persistere delle politiche di austerità, difese da Rehn, dalla Germania e dagli altri paesi del Nord portino a una devastante destabilizzazione di tutto il Sud dell'Europa. «Il Nord non è stato toccato dalla crisi e non è consapevole di come alcuni paesi stiano annegando - scrive Garicano - la Commissione sottovaluta il rischio di gravi incidenti». Per Paul de Grauwe, altro luminare della London School of Economics, la miopia e il dogmatismo di Rehn e dei suoi sodali di Bruxelles sconfinano nella stupidità. «I membri della Commissione - scrive - sono gli unici colpevoli perché hanno costretto tutti i paesi a sottoporsi ad una cura di austerità. Siamo di fronte a una recessione auto-imposta. Non avrebbero potuto essere più stupidi».

Un altro giro di garrota lo dà il guru progressista James Galbraith che accusa senza mezzi termini Rehn e la Commissione di fare gli interessi delle grandi banche. «Non sono proprio ottimista - dichiara - la Commissione sembra operare in un mondo a parte, totalmente dipendente dagli interessi a breve termine delle banche e totalmente indifferente alle conseguenze di politiche e analisi assolutamente imbarazzanti».

A dare il colpo di grazia a Rehn ci pensa Jonathan Portes direttore dell'Istituto di ricerche economiche sociali britannico. Il motivo del contendere è rappresentato, in questo caso, dalle critiche alle politiche economiche della Commissione sollevate dal Fondo monetario internazionale. Critiche che il Commissario per gli affari economici della Ue continua a respingere e a definire assolutamente infondate. «Da due anni ormai Rehn promettere un imminente recupero grazie alle eccellenti politiche della Commissione e della Banca europea. Adesso - accusa Portes - ha messo in campo una nuova tattica ovvero attaccare gli economisti che criticano la Commissione». Un'altra accettata alle tesi di Rehn la infligge David Lachman.

Secondo il professore dell'American Enterprise Institute la Commissione dopo aver insistito per imporre una frettolosa stretta fiscale stenta a comprendere che, come sottolineato dal Fondo Monetario, «un eccesso d'austerità all'interno della camicia di forza dell'euro è controproducente».

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