L'importante è essere convinti di una tesi. Anche se azzardata, o, peggio, sbagliata. L'importante è dipingere uno scenario. Meglio se decisamente inesistente e inconsistente. L'importante per la Repubblica è comunque entrare in partita, o meglio in campagna elettorale. E avviare fin da subito, una prima «manovra spacca Pdl».
Picconate, picconate qualche cosa resterà. Ecco quindi che ieri, sulle colonne del quotidiano, abbiamo appreso dell'esistenza in vita di un manipolo di «ribelli» anti-Cav, cattolici e di destra «pronti ad una lista Monti se lui dice sì». L'estensore dell'articolo ci tiene subito a rivelare quanto segue: «erano cinque non più tardi di due giorni fa, sono diventati dieci ieri mattina i dissidenti Pdl, i filo montiani che oramai votano palesemente contro le indicazioni del partito. Un gruppo destinato a crescere di giorno in giorno dopo il ritorno di Berlusconi...». E sappiamo anche che il gruppo dei frondisti potrebbe addirittura contare su una ventina di persone. E via con i nomi e i cognomi. Su cui sarebbe meglio spendere qualche riga di riflessione. A parte il vizio d'origine di questo strano, ipotizzato inciucio, tra cattolici e destra, buttato lì, giusto per parafrasare la rivolta delle truppe di Fini, veniamo a sapere che «Casini da qualche giorno è in stretto contatto con Frattini» e che l'ex ministro berlusconiano gli ha ribadito come non abbia intenzione di allinearsi ad una politica antieuropeista e anti-montiana e dunque di voler continuare a votare col governo». Tutto scritto, tutto risaputo. Poi però qualcosa comincia a non tornare. Maurizio Lupi che avrebbe già mercanteggiato alcuni posti in parlamento per Cl a cominciare da quello per l'amico Formigoni (nel tondo). Proprio il governatore lombardo che era stato per settimane il bersaglio preferito dello stesso quotidiano, con la pressante campagna sulle inchieste giudiziarie al Pirellone e con le provocatorie domande, contribuendo in maniera determinante alla fine anticipata della legislatura in Regione. Al famoso incontro dei «ribelli», informa premurosamente Repubblica, ci sarebbero stati pure Raffaele Fitto e il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che si sono giocati i rapporti con il Cavaliere definendo «improbabile e irrazionale» la sua ricandidatura e adesso quindi remano ovviamente contro e poi, il meglio del meglio: la sublimazione dell'azzardata analisi politica che troverebbe riscontro nel voto che Frattini e gli altri che andiamo ad elencare qui di seguito hanno espresso non attenendosi alle direttive del Pdl. In buona sostanza il sì che costoro hanno detto al provvedimento sui tagli della politica: Mario Valducci, fondatore dei circoli della libertà, Giuliano Cazzola, Alfredo Mantovano, Mario Landolfi, Marcello De Angelis, Gennaro Malgieri, Barbara Saltamartini.
È da intendersi come «ribellione» quella di sentirsi personalmente in dovere di votare sì ai tagli della politica? È da intendersi come un'improvvisa manovra anti-Cav quella per esempio di Marcello De Angelis che, in tutta la legislatura, ha votato per ben 300 volte diversamente da quanto indicato dal proprio gruppo e sempre e comunque pro Monti? Un altro esempio? Giuliano Cazzola che con il suo sì a Monti e ai tagli della politica ha votato complessivamente 488 volte diversamente dal proprio gruppo. Risicata la tesi di Repubblica dei nuovi complottisti anti-Silvio? Mah, che dite? Forse un tantino...
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