Stritolata dal reticolato burocratico di articoli di legge e disposizioni l'Italia è costretta a tenersi i suoi clandestini. Anche un assassino come il ghanese 31enne Mada Kabobo, il «killer» che a Milano sabato ha aggredito per strada, a colpi di piccone, sei passanti italiani uccidendone tre. Nonostante il permesso di soggiorno come rifugiato gli fosse stato negato, infatti, lo straniero, aveva fatto ricorso. E, nell'attesa, poteva rimanere qui. Proprio com'è accaduto poco più di due settimane fa anche a un terrorista come Abdel Hady Abdelaziz Mahmoud Kol, complice di Mohamed Game, il libico autore dell'attentato kamikaze alla caserma Perrucchetti il 12 ottobre 2009. Al 56enne egiziano il giudice di pace non ha convalidato il provvedimento di accompagnamento immediato chiesto dall'ufficio immigrazione della questura di Milano perché il suo avvocato aveva dichiarato di «avere intenzione» di presentare a breve ricorso al Tar contro la revoca del permesso di soggiorno del suo assistito.
E allora? Il reato di clandestinità è una sorta di scatola vuota? Emanuele Brignoli, 43 anni, ispettore capo alla squadra mobile di Milano e coordinatore dell'Osservatorio nazionale uffici immigrazione per l'Ugl polizia di stato, non ha dubbi: «Sicuramente sì. Tenendo conto che il reato non prevede la reclusione, ma solo un'ammenda pecuniaria da 5 a 10mila euro che nessuno straniero irregolare potrà mai permettersi di pagare. Inoltre - spiega Brignoli - la mole di procedimenti penali pendenti presso il giudice di pace di Milano contribuisce a rendere vana l'applicazione della norma».
In una circolare inviata lo scorso dicembre alle forze di polizia dalla Sezione definizione affari semplici (Sdas) della Procura della Repubblica presso il tribunale ordinario di Milano, si ammette, senza troppi giri di parole, di non riuscire a perseguire i clandestini perché sono troppi. Così, per evitare ai giudici di pace di essere «inondati da un'insostenibile massa di procedimenti da far approdare al giudizio» nel documento si consiglia a polizia e carabinieri di andarci piano con le denunce per il reato di clandestinità. O, comunque, di procedere solo quando è strettamente necessario e in base a indicazioni fornite dalla Procura stessa.
«L'unico mezzo per allontanare i clandestini sarebbe l'espulsione - prosegue Brignoli -. Ma la normativa che la regola è facilmente aggirabile con un ricorso al Tar o una richiesta di asilo politico, anche pretestuosa. Se l'espulsione non è immediata, infatti, lo straniero dovrebbe essere trattenuto in un Cie (Centro identificazione ed espulsione) o venire sottoposto alle misure di controllo alternative, come il ritiro del passaporto o l'obbligo di presentazione all'autorità di polizia competente. Provvedimenti che però devono essere anch'essi sottoposti al vaglio del giudice di pace e che possono essere non convalidati per un qualsiasi cavillo».
Ma una volta ottenuto il provvedimento di espulsione, il biglietto, il volo e gli agenti necessari alla scorta del clandestino, cos'altro può succedere? «È sufficiente che lo straniero ingerisca qualche corpo estraneo o compia atti di autolesionismo per rimandare a tempo indeterminato l'espulsione effettiva».
«Oltre allo snellimento dei procedimenti amministrativi - conclude Brignoli -, la soluzione per rendere efficace e celere l'espulsione consiste, a mio parere, nell'identificazione certa del soggetto al momento del suo ingresso regolare in area Schengen attraverso la rilevazione delle impronte digitali. Proprio come succede a tutti gli stranieri negli Stati Uniti. Dove, tra l'altro, nessuno si lamenta.
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