Il rientro al veleno di Bersani: "Partito ammaccato dalla staffetta"

L'ex segretario abbraccia platealmente Letta e in serata interviene a Ballarò su Renzi: "Ha lasciato una ferita"

Il rientro al veleno di Bersani: "Partito ammaccato dalla staffetta"

Roma - Spuntano fuori dal nulla, come anime sperdute nelle nebbie della coscienza. Frammenti di presente, che del recente passato paiono assumere presagi di un futuro non del tutto roseo, per Matteo Renzi. Fossimo alle celebrazioni dei trionfi dell'antica Roma, rappresenterebbero il «Memento mori» sussurrato all'orecchio del Cesare. Eppure è un bella scena, sia pure disseminata lungo l'interminabile pomeriggio di Montecitorio, che sta tra l'emotività del libro Cuore e il ritorno del Conte di Montecristo. Alla quale non manca neppure una sfumatura da vaudeville. Sono le tre e mezzo passate da poco, quando da un corridoio laterale del Transatlantico ecco materializzarsi Pier Luigi Bersani, reduce dall'aneurisma cerebrale che dal 5 gennaio scorso ha fatto temere per la sua vita. S'avanza lento ma sicuro, in perfetto abito scuro e cravatta rossa; il male pare averlo sfiorato senza lasciargli oltraggi, l'umore ottimo. Tra le colonne che separano il corridoio e l'aula, l'ex leader pidino incrocia Renato Brunetta, che più volte ha ricordato in questi mesi la sincera amicizia che gli porta. S'aprono entrambi a un caloroso abbraccio, «Sono felice di vederti!», «Anch'io sono davvero felice di vederti...». Attimi intensi e fugaci, perché Bersani è concentrato sul ritorno in aula. Quando compare, è un tripudio di battimani, pacche sulle spalle, abbracci e sorrisi fraterni. Tutti in piedi per la più sentita delle standing ovation. Corre ad accoglierlo il portavoce del Pd, Lorenzo Guerini, Renzi non crede ai propri occhi e si precipita ad abbracciarlo. E, mentre Pier Luigi sale a prendere il proprio posto, il premier sottolinea il topic moment come un adolescente felice, cioé con l'inseparabile tweet: «Grazie a Bersani per essere in aula oggi. Un gesto non scontato, per me particolarmente importante».

La fretta non è buona consigliera, però. Perché le prime parole sussurrate da Bersani agli amici l'avrebbero raggelato, avesse potuto udirle. «Dov'è Enrico? Sono venuto per abbracciarlo... Ma non è ancora arrivato?». Matteo poi farà buon viso a cattivo gioco, utilizzando il ritorno del giaguaro per una lezione di democrazia ai grillini. Neppure Bersani infierirà, all'uscita dalla Camera: «Il Pd reggerà, reggerà. Non mi è piaciuto questo percorso che ha lasciato delle tracce non banali ma penso che la fiducia bisogna votarla. Benché questo governo non abbia tra le sua qualità migliori l'umiltà, penso che abbia bisogno di aiuto... E io ci sono, a dare una mano». Anche se poi si toglie qualche sassolino dalle scarpe: «Si sa che io non ho visto positivamente il modo con sui siamo arrivati a questo passaggio che ha lasciato un po' un'ammaccatura, una ferita, che bisogna rimarginare». Ma intanto eccoci alla seconda parte della scena madre. È passata una mezz'oretta abbondante dal picco emotivo, quando dall'altro ingresso dell'aula ecco farsi avanti il Grand'Offeso. Ora va sottolineato che ci siamo abituati a due Papi e dunque nulla può fare più davvero impressione. Eppure il premier deposto, Enrico Letta, che con la flemma di Edmond Dantes attraversa l'emiciclo, concede una sdegnosa stretta di mano a Graziano Delrio che starebbe pure per alzarsi e neppure uno sguardo all'Usurpatore, meriterebbe già il prezzo del biglietto. Enrico chiude e apre il bottone della giacca, unico segno di nervosismo visibile, e si dirige verso Bersani dribblando amici e traditori.

Gli interessa soltanto arrivare, sotto gli occhi di Renzi, dritto dritto all'abbraccio con Pier Luigi. È una vera apoteosi. Scatta l'applauso convinto, tanto generale e convinto che neppure il premier se la sentirà di sottrarsi.

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