"Una riforma fiscale per liberare le imprese dall'oppressione"

Federico Iadicicco, presidente di Anpit, presenta la sua visione per un fisco amico dei cittadini e dello sviluppo. Quello nella cui direzione si sta incamminando - a suo avviso - il governo Meloni

"Una riforma fiscale per liberare le imprese dall'oppressione"

Dai bonus a pioggia a una riforma fiscale coraggiosa e incisiva: questa la svolta che Federico Iadicicco, presidente dell'Associazione Nazionale per l'Industria e il Terziario (Anpit) riscontra nella prassi della politica economica del governo Meloni. Iadicicco rileva la possibilità di una riforma fiscale omnicomprensiva dopo che, come riportato da un recente report Anpit, oltre 162 miliardi di euro sono stati spesi invano in politiche non strutturali e bonus nell'ultimo decennio. Con IlGiornale.it Iadiccio propone la sua visione per un fisco amico dei cittadini e dello sviluppo.

Bonus a pioggia senza obiettivi per la crescita. Questo il limite che riscontrate nelle manovre politiche degli anni scorsi. A cosa imputate tali errori?

“La nostra analisi ha messo in evidenza come l’ingente serie di bonus introdotti negli ultimi 10 anni avrebbe potuto invece sostenere una profonda riforma strutturale del sistema fiscale italiano. Il centro studi di Anpit, ‘Articolo 46’, ha quantificato in 162 miliardi di euro complessivi (Bonus Irpef pari a 85 miliardi; Bonus Imprese pari a 42 miliardi e Bonus minori pari a 35 miliardi) la grande mole di risorse pubbliche impiegate nelle ultime due legislature - la XVII (dal 2013 al 2018) e la XVIII (dal 2018 al 2022) - per finanziare una serie di incentivi per ridurre la pressione fiscale. Buona parte delle cause che hanno portato all’utilizzo di questi bonus sono frutto di una mancata programmazione politica di lungo periodo, che è dipesa da una serie di fattori. Penso al forte grado di instabilità in assenza di Governi di legislatura. Ciò ha prodotto l’effetto di interventi che, pur andando nella direzione di ridurre la pressione fiscale, sono rimasti estemporanei più funzionali al consenso elettorale anziché ad una pianificazione di lungo periodo”.

Cos’altro ha frenato a lungo la politica da una riforma fiscale onnicomprensiva?

“Un altro fattore determinante è stata la necessità di rispettare il cosiddetto ‘vincolo esterno’, ovvero gli obblighi che ci vengono imposti dall’Ue rispetto al debito e al deficit che impediscono - a causa anche dei fattori precedenti - di poter pianificare una riforma fiscale complessiva. Mi sembra un falso problema, il dato che emerge è che in realtà una mancata pianificazione produce l’effetto di un dispendio copioso di risorse quando ne basterebbero molte meno, rispetto a quelle spese negli ultimi 10 anni, per fare una riforma fiscale di senso compiuto”.

Proponete una svolta finalizzata alla crescita attraverso detassazione e incentivo al lavoro. Come credete si possa strutturare?

Proponiamo l’abolizione dell’Irap, l’abbattimento dell’Ires attraverso una completa detassazione dell’utile reinvestito; l’accorpamento graduale degli scaglioni e riduzione delle aliquote Irpef. Sull’Irpef proponiamo un passaggio strutturale ad un sistema a tre scaglioni, accorpando i primi due con una riduzione dell’aliquota al 22%; il secondo scaglione con una riduzione dell’aliquota al 32%, il terzo scaglione – oltre i 50mila euro di reddito - manterrebbe l’invarianza dell’aliquota. In una fase successiva proponiamo la riduzione di due punti per il secondo scaglione, di un punto per l’aliquota del terzo fino ad arrivare a regime con un intervento che conduca anche il terzo scaglione ad un massimo del 40%. Infine, riteniamo indispensabile modificare la tassazione tra rendita speculativa, reddito e utili d’impresa, a favore di questi ultimi due. Non possiamo mantenere un sistema per cui chi acquista e vende titoli – nel breve e brevissimo periodo - a solo fine speculativo ha un’imposizione fiscale equivalente, se non più bassa, rispetto di chi genera utili e a chi produce attraverso il proprio lavoro la crescita economica e sociale del Paese”.

Avete giudicato positivamente l'impianto della delega fiscale e della riforma di Meloni. Quali ritenete siano i punti forti?

“Senza dubbio la riorganizzazione e la ristrutturazione dell’Irpef, indicata dal Governo va nella direzione giusta. Giudichiamo positivamente anche la trasformazione dell’Irap in un’addizionale regionale Ires. Non è l’abolizione che noi auspichiamo ma comunque il cambio dell’imposta non è un mero artificio semantico perché cambiando la base imponibile cambia anche il peso e l’equità della tassazione. Riteniamo positivo anche l’intervento del Governo a favore della detassazione degli utili utilizzati per investimenti qualificati. È un primo passo per un cambio culturale, le nostre imprese non hanno bisogno di bonus e agevolazioni per essere competitive, innovative, sostenibili, ma hanno bisogno della fine dell’oppressione fiscale. Immaginiamo uno Stato che intervenga per sanare le storture del mercato, per correggere le diseguaglianze, per combattere la povertà, ma crediamo fermamente che alle imprese non servano risorse a pioggia ma solo pagare meno tasse. La grande sfida dell’imprenditoria italiana sarà quella di rifiutare un ‘capitalismo assistito’ e mostrare al mondo che se messe nelle condizioni di competere ed investire le imprese saranno in grado di risultare le più innovative, le più sostenibili, le più efficienti, le più inclusive del mondo Occidentale”.

Infine, come si coniuga con la riforma la proposta ventilata di garantire la riduzione delle tasse a chi fa figli? Rema nella stessa direzione?

“Abbiamo di fronte lo scoglio più costoso ma anche il vero obiettivo strategico da perseguire: ovvero cambiare il soggetto impositore, quindi arrivare alla fine della riforma con una tassazione non più sulla persona ma sul nucleo familiare per poter fissare uno dei tasselli necessari per invertire il trend demografico. Serviranno anche una rivoluzione del welfare ed una culturale, ma la riforma fiscale a favore delle famiglie sarà comunque il primo passo necessario per un sostegno, ormai indifferibile, alla natalità. D’altra parte, è il grande nodo dello sviluppo e della crescita non solo dell’Italia ma dell’Occidente perché è inequivocabile, come attestano i dati demografici, l’insostenibilità dei nostri sistemi di welfare, l’impossibilità di pagare pensioni dignitose, garantire un sistema sanitario equo ed efficiente.

C’è un ulteriore problema, la difficoltà a reperire manodopera a causa del calo della popolazione residente. Combattere l’inverno demografico è la grande sfida che dobbiamo affrontare assieme, parti sociali, corpi intermedi e politica, sono certo che il Governo Meloni ne sia pienamente cosciente”.

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