Riscoprire gli uomini di cultura per rilanciare il centrodestra

Per i moderati diventa essenziale infrangere il monopolio che la sinistra ha esercitato dal dopoguerra a oggi su scuola, magistratura e mass media

Riscoprire gli uomini di cultura per rilanciare il centrodestra

Caro direttore, Paolo Guzzanti ha centrato una questione di fondo che è costituita dall'influenza decisiva che la cultura e l'organizzazione della cultura possono esercitare sugli equilibri politici, sociali e anche elettorali di una società evoluta quale storicamente è l'Italia.

Giustamente Guzzanti parte da Gramsci e da Togliatti. Ristretto in un «doppio carcere» - per un verso quello costituito dal regime repressivo fascista, e per altro verso quello costituito dall'occhiuto controllo che il Pci gli aveva costruito intorno per «aiutarlo» e per tenerlo sotto osservazione (da Piero Sraffa e Tatiana Schucht) - Gramsci sviluppò sui Quaderni una riflessione di fondo sull'impossibilità per il leninismo, cioè la rivoluzione armata, di conquistare di potere in società assai piu' ricche e complesse di quelle russa, quali erano quelle esistenti in Inghilterra, in Germania, in Italia, nella stessa Spagna. Allora Gramsci propose di conquistare il «cervello» di quelle società inserendosi nelle loro casematte ideologico-culturali, come la scuola, i giornali, e gli altri mezzi di comunicazione di massa (cinema, teatro, e poi tv), la magistratura. Togliatti dal 1944 in poi mise genialmente in atto il lascito politico e intellettuale di Gramsci depurandolo delle sue evidenti componenti ereticali rispetto al leninismo e allo stalinismo.
Così il Pci riuscì a combinare insieme una piena egemonia culturale sul terreno dei contenuti e una ferrea organizzazione del potere culturale che si è fondata su una molteplicità di strumenti, l'uno assai differente e anche distante dall'altro, dalla Casa editrice Einaudi, a Magistratura democratica, al giornale-partito Repubblica con annesso Espresso alle reti Rai e al Tg3, ai principali talk show e alle pagine culturali dei principali giornali.

Oggi l'egemonia culturale della sinistra è in crisi sul terreno dei contenuti mentre invece rimane tuttora in campo una forte organizzazione del potere culturale.
L'egemonia culturale della sinistra è stata «bucata» fin dal 1956 quando il revisionismo culturale di ispirazione socialista e liberale ha fornito una lettura di segno opposto a quella fino ad allora dominante proprio a partire dalla lettura del '900 per cui si è colta l'esistenza e la contrapposizione di due totalitarismi entrambi criminogeni in modo organico, il nazismo con il lager e la Shoah, il comunismo staliniano con i gulag e la lotta di classe intesa come guerra totale alle classi sociali nemiche. Di qui è partita anche una lettura revisionista della storia d'Italia non nel senso, a mio avviso, di una rivalutazione del fascismo in quanto tale (dove l'analisi di Renzo De Felice sull'esistenza negli anni Trenta di un consenso di massa al regime non può occultare l'inaccettabilità della presa violenta del potere e dell'instaurazione di una dittatura, paradossalmente finita in modo democratico con la seduta del Gran Consiglio il 25 luglio 1943), ma del fatto che anche in Italia dal 1944 in poi ci sono stati due antifascismi, uno liberaldemocratico dei liberali, dei cattolici, dei socialisti riformisti, di una parte degli azionisti e uno antidemocratico che puntava alla sostituzione della dittatura fascista con la dittatura comunista. Se in Italia, dopo l'aprile del 1945, non c'è stata una seconda guerra civile lo dobbiamo al fatto che siamo stati liberati dall'esercito anglo-americano con la conseguente scelta di Stalin che decise che in Italia non era possibile fare la rivoluzione armata per cui «fermò» Longo e Secchia.

Anche su tutte le drammatiche vicende successive, compresa Mani Pulite nel '92-'94 e poi la lettura dell'organico attacco giudiziario a Berlusconi dal 1994 ad oggi esistono tutti i materiali storico-politici sull'uso politico dalla giustizia, che sono alternativi alla cultura giustizialista. Anche sul piano dell'identificazione di una terza via fra il dirigismo e il fiscalismo della Cgil e dei partiti di sinistra e il fallimento del liberismo deregolamentato che ci ha portato all'attuale finanziarizzazione selvaggia, esistono molteplici punti di elaborazione che derivano dai principi della economia di mercato. Che cosa è mancato finora da parte del centrodestra del Pdl in quanto tale? Qualche positivo tentativo ci fu negli anni intorno al 1996, con l'ingresso in Parlamento di personalità come Lucio Colletti, Pietro Melograni, Piero Rebuffa, don Gianni Baget Bozzo e altri. Esistono anche alcune serie fondazioni culturali. Tutto, però, si è disperso e sbriciolato nell'assenza di un intervento politico complessivo.

Adesso è importante ripartire dalla consapevolezza dell'esistenza del problema e della necessità di un salto di qualità su questo terreno, coinvolgendo le persone indicate da Guzzanti e anche molte altre, evitando su questo terreno ostracismi e rotture per rivalità accademiche. Di conseguenza reputo che l'apertura sul Giornale di un dibattito di questo tipo può essere di grande rilievo.

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