Rosi, troppo maschia per fare la femminista

Per difendersi non affermi che è facile attaccare una signora ma dimostri la sua innocenza carte alla mano

Rosi, troppo maschia  per fare la femminista

Cara Rosi Mauro,
non ne farei una battaglia femminista. Tantomeno femminile. Difendersi affermando «è facile attaccare una donna», non è credibile. E sa di antico. Di tinello. Per quanto si viva in un mondo ancora maschilista, la cui deriva non risparmia la politica.
Soprattutto se la donna, che si dichiara vittima della persecuzione, è Lei, che ha mostrato, con asciuttezza e determinazione, di non voler esprimere la specificità del Dna muliebre. Anzi. Si dice della Sua durezza comportamentale, si favoleggia di amanti più giovani, si sussurra del gusto di un potere abusato. Caratteristiche molto maschili che, per esempio, mai sono state applicate ad altre donne della politica. Tantomeno alle ministre del precedente governo che, invece, sono state avversate per la loro eccessiva femminilità, nel tentativo di oscurarne le obiettive competenze. Questo è il vero maschilismo, cioè l’attacco indiscriminato di genere. Il trattamento della donna non come cittadina che gode degli stessi diritti civili, politici e sociali di un uomo, bensì come un essere dedicato all’uomo.

Per esempio, nell’antica Grecia le donne erano catalogate come mogli e il loro ruolo era esclusivamente quello di educare la prole legittima; oppure come concubine, se soddisfacevano stabilmente le esigenze sessuali di un maschio; o ancora come compagne (le etere) se si occupavano di intrattenere gli uomini con leggiadre conversazioni; c’erano anche le prostitute, libere professioniste del sesso a tempo, ma ultime nella scala sociale. Nessuna di queste posizioni era però oggetto di legislazione o di interesse politico. Oggi, tutti questi ruoli si sono rivoluzionati, spesso mescolati, e a volte si ritrovano tutti insieme in una sola donna. E, comunque sia, non c’è femmina, qualunque cosa faccia, o dica di fare, che, dopo secoli di lotte sociali e domestiche per la parità e la conquista dei diritti fondamentali, oggi non goda della più piena e ampia tutela giuridica.

Dunque, se ancora esistono i beceri maschilisti, nella politica come nel giornalismo, nell’avvocatura e nella magistratura, perché molti uomini fanno ancora fatica ad aprire gli occhi, a capire e a spazzolarsi via la muffa del tempo, noi donne non dobbiamo cadere nella trappola che, alla fine, ci rende vittime di noi stesse.
È troppo semplice e scontato attaccare dicendo che è il maschio che vuole umiliarci, e poi, come corollario, anche piangere.
Può essere vero che l’uomo spesso ci denigra per umiliarci, nella sempiterna lotta di potere tra i sessi, ma non dobbiamo usare i suoi argomenti per tentare di smentirli, bensì provare la verità dei fatti, che ci scagionano.

Tuttavia, se la donna ha ottenuto il rispetto sociale, perché ha finalmente acquisito i diritti civili, deve lei stessa personalmente, ogni donna, essere meritevole di quel rispetto. Con il proprio fare, la competenza, le parole che dice. La dignità, che è riuscita a capitalizzare, spesso con fatica, nella sua storia di vita e che non è mai un accessorio collegato al diritto conquistato. Né un beneficio regalato dalla funzione sociale o politica che svolge.

Se Lei, cara Rosi Mauro - presidente di un sindacato, oltre che vicepresidente del Senato, con un’intensa storia politica di consigliere comunale e regionale, e dunque dopo aver già dato prova di coraggio e di tenacia - non invoca questa storia, per difendersi, bensì la Sua, peraltro trascurata, femminilità, mi è caduta nel tranello dei maschilisti. E rischia il rogo come le streghe, invise ai maschi solo perché femmine non assoggettabili e del tutto ingovernabili.

Invece, l’unica difesa, strategicamente efficace e sicuramente vincente, da quello che Lei considera giustizialismo maschilista, è dimostrare, carte alla mano, che non ha usato per sé i soldi degli elettori, che non è complice di nessuno che l’abbia fatto, che non è mai scesa a compromessi tra l’ideale e il denaro. Anche a costo di svelare, oltre ai Suoi, i segreti degli altri.

Mi è piaciuto molto il Suo «non mi dimetto», anche se glielo aveva chiesto il capo. Questa è la dignità; che però merita la controprova della trasparenza assoluta, insindacabile e documentata, dei Suoi comportamenti oggi criticati. Non è ammissibile appellarsi alla dignità generica e generalizzata solo perché si è donna: come la responsabilità penale, anche la dignità è un fatto individuale. Deve essere così solida da superare ogni ragionevole dubbio. Dei maschi e delle femmine.

Cara Rosi Mauro, accolga dunque l’invito di Kant, per il quale è un dovere rispettare e far rispettare la propria dignità.

Rifiuti di sottostare all’idea, che si è purtroppo fatta, della strumentalizzazione sessista; non cerchi il nemico da combattere; non inalberi bandiere scolorite, ma dia prova di sapere che cosa vuol dire tutela giuridica dei diritti e garanzia del diritto di difesa. Senza i quali anche le parole perdono la dignità.

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