Lamberto Dini è uno degli ultimi protagonisti viventi dell’Italia del ‘900 avendone rappresentato le massime istituzioni economiche e politiche: dalla Banca d’Italia a Palazzo Chigi, dal Fondo Monetario alla Farnesina, dal Tesoro a Palazzo Madama. E pur non considerandosi “né un giurista né un costituzionalista ma un economista”, la sua esperienza è preziosa per capire da vicino il funzionamento della macchina statale oggetto di riforme più volte fallite. Nelle sue parole un misto di conservatorismo e innovazione, ma soprattutto un consiglio personale per il presidente del Consiglio: “Attenzione a non fare la fine di Renzi!”.
Presidente, anche questo governo proverà a cambiare la Costituzione.
“Sento parlare di presidenzialismo e semipresidenzialismo, si tratterebbe di interventi che potrebbero sconvolgere la nostra Repubblica parlamentare. È fondamentale che siano riforme condivise”.
Il premierato sembra l’ipotesi più percorribile.
“Anche qui bisogna fare una distinzione. Io sono favorevole ad un rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio, esempio nomina e revoca dei ministri, ma non all’elezione diretta perché indebolirebbe il ruolo del parlamento e creerebbe inevitabilmente un dualismo con il capo dello Stato”.
Boccia a priori l’elezione diretta del presidente del Consiglio?
“Non è necessaria. Del resto, il presidente del Consiglio è normalmente il capo del partito di maggioranza relativa (esito elettorale). Piuttosto che all’elezione diretta pensiamo a come rafforzarne ruolo, poteri e prerogative”.
Qual è dunque il punto di partenza del progetto di riforma costituzionale?
“Affrontare il primo vero problema del sistema istituzionale: l’instabilità governativa. Da non confondere con l’instabilità politica in quanto la politica italiana nelle sue grandi direttrici è rimasta immutata: Europa, Atlantismo etc”.
Punti principali su cui intervenire?
“Condividendo anche quanto suggerito dal presidente Luciano Violante: fiducia al presidente del Consiglio che forma il governo, nomina e revoca dei ministri, sfiducia costruttiva e introduzione del vincolo di mandato”.
Il vincolo di mandato è una battaglia di parte della destra.
“Non è previsto dalla nostra Costituzione (art. 67) ma visto il largo numero di deputati e senatori che, specie nell’ultima legislatura, hanno cambiato partito o “casacca” dovrebbe essere introdotto. Chi non si sente più in sintonia con il proprio partito che lo ha eletto deve dimettersi come ha fatto recentemente Carlo Cottarelli”.
E il bicameralismo perfetto?
“Sarei a favore di una differenziazione delle funzioni con il Senato organo di garanzia intento ad intervenire su materie costituzionali, tributarie etc”.
La legge elettorale?
“Sarebbe la chiusura del progetto riformatore una legge elettorale con premio di maggioranza che non infici la rappresentatività del parlamento. Il tutto nell’ottica di dare stabilità al governo”.
Dall’alto della sua lunga esperienza istituzionale e di vita quale consiglio darebbe al premier?
“Fare riforme condividendole con l’opposizione. Evitando così un referendum confermativo e rischiare di finire come Renzi. È una partita difficile ma può diventare facile tenendo conto che si vanno a toccare meccanismi delicati di pesi e contrappesi”.
Ne è consapevole Giorgia Meloni?
“È una persona estremamente prudente e capace… hanno cinque anni davanti. Possono venire fuori anche nuove proposte”.
Come valuta le mosse della segretaria del Pd?
“Non credo che sia competente per parlare di queste materie. Dovrebbe ascoltare figure di alto profilo che certamente esistono nel suo partito”.
C’è una crisi generale della democrazia liberale in Occidente?
“No, perché tutti desiderano la libertà e le libertà individuali che ne derivano”.
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