Noi e le Poste, quanto amore e quanto odio. Da 150 anni, da quando esistiamo come Italia, il cartello a fondo giallo accompagna la nostra vita, con i suoi servizi insostituibili e le sue code intramontabili (mezz'ora aspettavo per fare una raccomandata negli anni Sessanta, mezz'ora aspetto adesso per pagare una multa, al tempo dell'elettronica). Le Poste hanno portato le nostre lettere ai primi amori, le Poste ci hanno consegnato la tremenda cartolina militare, le Poste ci hanno avviato al risparmio con i famosi libretti dalle cifre scritte a mano, le Poste hanno umilmente custodito i denari dei correntisti senza grilli per la testa, le Poste hanno portato a casa i soldi impregnati di sudore dei nostri emigranti e oggi mandano a destinazione i soldi ugualmente impregnati dei nostri immigrati.
Certo le mail e i social network qualcosa hanno cambiato nel modo di comunicare. Una volta mandare la cartolina da Gabicce era la norma e adesso è un tocco di classe decisamente snob, del genere vivo vintage e faccio cose che voi umani non potete nemmeno immaginare. Il mondo corre, le Poste devono tenere l'andatura. Tanta carta è sparita, il francobollo ha perso centralità, il postino non suona sempre due volte, fermandosi magari a fare pure quattro chiacchiere. Le Poste hanno raccolto la sfida dell'eterno modello svizzero, che tutti abbiamo sempre usato per umiliare le nostre. Le Poste hanno così smesso di fare solo le Poste, diventando un sacco di altre cose. E non è certo finita. Come ha annunciato l'amministratore delegato Massimo Sarmi, a Torino per inaugurare una mostra sulla storia aziendale, quanto prima avremo «il primo data center di quarta generazione, che permetterà servizi di cloud computing»(?, n.d.r.). Dev'essere una novità eccezionale, la prendiamo sulla fiducia. Il magico mondo dell'innovazione corre, non bisogna mai scendere. Anche il postino, anche questa figura leggendaria che non arriva mai quando quella particolare busta è attesa con ansia, ma che colpisce inesorabilmente a freddo quando porta la busta con gli annunci più cupi: pure il postino cambia pelle. I cani più carogna non potranno più accanirsi soltanto sui pantaloni: già sta cominciando a circolare su prenotazione il succulento postino telematico, dotato di palmare, stampante e Pos, armamentario in grado di svolgere molte preziose funzioni a domicilio, ma anche di rallentare drasticamente l'affannosa fuga oltre la siepe...
Mette quasi tenerezza parlare delle Poste, questa la verità. Fanno parte di noi, del nostro costume, delle nostre vite e delle nostre case. Purtroppo, in attesa dei formidabili servizi di «cloud computing» (??, n.d.r.), si profila un problema molto più serio e più triste: la sopravvivenza degli uffici lontani e marginali. Attualmente le sedi sono in totale 14mila, ma un rigido criterio contabile imporrebbe di chiuderne parecchi. Chiaramente, il taglio inciderebbe proprio là dove sono ancora avamposti di civiltà, nei paesini di montagna, sulle isole, nelle zone che si spopolano. É così che lo stesso Sarmi lancia un appello: «Prima di chiudere certi uffici chiediamo alle istituzioni locali una concreta collaborazione, per riuscire a trasformarli in centri di servizio globale». É un appello che deve diventare corale, che tutti dobbiamo sottoscrivere. L'idea è concentrare dentro lo storico ufficio anche l'anagrafe comunale, gli sportelli di cassa e quant'altro faccia parte della vita civica: il criterio del servizio sociale che prevale sul rigido criterio dell'economicità. Sinceramente: questa idea non mi è nuova. É bellissima, ma in fondo è la stessa che ci ha fatto conoscere, amare, odiare le Poste anche allora, cento e cinquanta anni fa, quando si entrava in quell'ufficio, nei quartieri delle grandi città come nei villaggi di alta montagna, per depositare qualche soldo, per mandare i nostri sentimenti all'amore lontano, per pagare tributi, per chiedere informazioni, per imparare leggi e al limite per scambiare qualche parola, tipo bar. Non c'è rivoluzione informatica che sia riuscita mai a stravolgere il senso e il fascino di quell'insegna: andare lì e con un po' di sana pazienza, senza accendere il computer e senza cliccare nulla, riuscire comunque a connetterci con il mondo.
Un'altra saracinesca si chiude per sempre. La libreria Del Duca, una delle più note di Parigi, fondata negli anni Cinquanta dall'editore e produttore italiano, Cino Del Duca, ha annunciato la sua chiusura. «Del Duca chiuderà i battenti il 30 novembre.
Ormai da molti anni, il mercato del libro è in grande difficoltà e come altre librerie, ne siamo vittime», si legge sul sito internet della libreria, situata sul Boulevard des Italiens, non lontano da Place Vendome e dal teatro dell'Opera, in un palazzo che Cino Del Duca, figlio di un garibaldino, scelse come quartier generale della sua casa editrice, «Les Editions Mondiales», specializzata nel settore dei romanzi rosa e della stampa popolare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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