
Sergio Ramelli, una storia che non fa più paura. Anche perché non l’ha mai fatta, se non a una certa parte politica che ha fatto dell’odio la propria bandiera. Come ha ricordato il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, durante il suo intervento al convegno che si è tenuto in Regione Lombardia, organizzato dal Circolo Tricolore e fortemente sostenuto dall’onorevole Carlo Fidanza: “Ancora oggi, a cinquant'anni dalla morte di Sergio Ramelli, c'è una minoranza rumorosa che crede che l'odio, la sopraffazione, la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee”. Ma così non può essere ai giorni nostri. E non poteva essere allora. Prosegue infatti il presidente del Consiglio: “Oggi, dopo 50 anni, quella memoria che per troppo tempo è stata soltanto di una parte inizia a essere più condivisa nel tentativo di ricucire una ferita profonda nella coscienza nazionale che deve accomunare, in uno sforzo di verità e pacificazione, tutte le vittime innocenti dell'odio e della violenza politica. Un mese e mezzo fa, nell'anniversario dell'aggressione, il governo che mi onoro di guidare in collaborazione con l'Istituto Poligrafico dello Stato e Poste Italiane, ha voluto dedicare un francobollo alla memoria di Sergio Ramelli”. È la rottura di un incantesimo di violenza che aveva tinto di sangue gli anni di Piombo, prosecuzione della guerra civile, dello scontro tra fratelli. Che ora non può più continuare. Che è giusto interrompere. “Cinquant'anni dopo siamo chiamati a interrogarci su quello che ancora oggi ci può insegnare il suo sacrificio. Sergio era una persona libera, ma essere liberi in quei tempi duri comportava un'enorme dose di coraggio che spesso sfociava nell'incoscienza”, afferma la Meloni.
Ma al centro della ricostruzione del presidente del Consiglio resta quel ragazzo dai capelli lunghi, così diverso, nella sua fisicità, da come venivano dipinti i ragazzi di destra: capelli lunghi e profilo gentile. L’amore per il calcio, per l’Inter e per la propria ragazza. Ma soprattutto per il nostro Paese. “Sergio amava l'Italia più di ogni altra cosa. Aveva deciso di non tenerselo per sé e di dirlo al mondo senza odio, senza arroganza, senza intolleranza. La sua storia ce l'ha raccontata chi lo ha conosciuto, chi ha condiviso con lui la militanza politica, chi ha sperato e pregato per quei terribili 47 giorni di agonia che Sergio potesse risvegliarsi”.
Quarantasette giorni di sofferenza e agonia. Di dolore. Inutile per molti. Ma non per chi crede nella libertà, indipendente dal colore del proprio credo politico. Afferma infatti il presidente del Consiglio: “Ai ragazzi che oggi hanno l'età in cui Sergio morì, che hanno spalancato davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono. Voglio dire, non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri. Coltivate la vostra libertà. Non perdete il vostro sorriso, inseguite la bellezza, difendete le vostre idee con forza, ma fatelo sempre, soprattutto con amore, come faceva Sergio”.
Perché è l’amore che può fare la differenza. Insieme alla verità.
È per questo che durante l’evento sono state premiate, dall’assessore alla Cultura Francesca Caruso, le città che hanno deciso di dedicare una piazza, una via o un giardino a Sergio. Affinché tutti conoscano la storia di quel ragazzo dai capelli al vento. E troppo presto interrotta dalla violenza e dall’odio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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