Quattro giorni di lavoro a settimana, magari con lo stesso stipendio, sarebbe davvero un gran bel lusso. Un pacchetto di tempo libero che ti riempie la vita non ha prezzo, con la possibilità di incastrare week end lunghi che sembrano non finire mai e più spazio per tutto: passioni, manie, ossessioni, figli, amori, amanti, passeggiate nei boschi e pomeriggi all'Ikea, una montagna di libri ancora da leggere o semplicemente dormire, forse sognare. Come si fa a dire di no a Elly Schlein, che di questo desiderio farà la sua nuova bandiera politica? È una promessa di felicità. Se però temi i Danai anche quando portano doni, allora è saggio andare a vedere gli effetti collaterali.
Non è solo questione di sfiducia, ma serve a allargare gli orizzonti e cercare di capire dove certe scelte, anche in buona fede, ti possono portare. La settimana breve, tanto per cominciare, non coinvolgerà tutti i mestieri. C'è chi proprio non se la può permettere. Sono gli stessi che vanno al lavoro anche con la febbre, che non hanno welfare, quelli che il mercato globale considera un'anomalia, perché vengono da una storia antica e si ostinano a tenere aperto un negozio, un laboratorio, un'officina. È la classe di artigiani e commercianti, e in genere sono ai margini dei discorsi sulla qualità della vita. L'idea è che non sono salariati e infatti sono lavoratori autonomi, ma non per questo andrebbero liquidati come ininfluenti o privilegiati. Lo stesso discorso si può fare per tutte le professioni che non hanno orari, perché non sai quando il tuo intervento è urgente e necessario. È il caso, solo per fare un esempio, dei chirurghi. Qui siamo ancora nel campo delle eccezioni.
Il discorso si fa ancora più profondo quando hai a che fare con operai e tecnici specializzati. Non è facile trovarli e i disagi nella formazione professionale non aiutano. La realtà è che la settimana corta può essere funzionale alle grandi aziende e allo Stato. Il paradosso è che si immaginano benefici a lavoratori che sono già storicamente i più garantiti. Non è un peccato, ma non è il caso di farla passare come una rivoluzione sociale. La promessa della Schlein è quella del "tempo libero", il "faccio cose, vedo gente" raccontato da Nanni Moretti in Ecce bombo. È La società signorile di massa temuta da Luca Ricolfi. È qui la fregatura del tempo libero. Si lavora meno per lavorare tutti. Lo slogan è efficace, ma non è detto che funzioni. Qui non hai a che fare solo con uno, due o tre salari netti in più, ma per ogni assunzione c'è una montagna di tasse e oneri sociali che fanno diventare insostenibili i costi di produzione. Non è che per colmare il giorno in meno si possono prendere i supplenti, precari e a cottimo.
Le aziende andranno a cercare produttività altrove, fuori dall'umano. Il quinto giorno verrà occupato dalle macchine. È lì, in quel vuoto, che si nasconde la vera rivoluzione sociale. Ci sarà comunque, ma così probabilmente si arriva prima. Non è un caso che l'intelligenza artificiale andrà a sostituire proprio i lavori dei quadri delle aziende e gran parte dei lavori di servizio, programmazione e colletti bianchi in genere. Le professioni più esposte non sono quelle basate sul lavoro manuale ma quelle mediamente retribuite. È l'autunno del salariato. Solo che per vendere i prodotti devi avere un consumatore con uno stipendio. Il rischio quindi non è solo sociale o un viaggio a ritroso verso una decrescita più o meno felice e consapevole. È il mercato globale che va in tilt. A quel punto la soluzione diventerebbe il reddito di cittadinanza universale.
È questa l'utopia, la fine del lavoro. Il costo però è altissimo. La tua vita dipende totalmente dalla generosità dello Stato. Se non sei in linea con il potere non mangi. La tua sussistenza, il pane, lo paghi con la libertà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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