Si vota l'Italicum Riforma in mano alle donne in bianco

Le deputate come vestali si mobilitano per il giorno decisivo: "Vestite dello stesso colore per la parità di genere". Ma Fi avverte: con tutti questi ostacoli, al Senato ne vedremo delle belle

Si vota l'Italicum Riforma in mano alle donne in bianco

Roma - Oggi alla Camera si va in bianco. Riforma elettorale o non, le vestali dell'ossessione sessista hanno optato per il segno della resa - o, se si preferisce, della biancheria che più candida non si può. Inutile farsi illusioni di specie, prevale il conformismo di genere.
«Avevamo proposto il rosso domani x #paritadigenere ma è meglio il bianco di @lauraravetto così anche gli uomini potranno seguirci!», cinguetta l'immancabile tweet di Alessandra Moretti, che capeggia le piddine. «Perché si presume che gli uomini cooptati nelle liste siano “i meritevoli” e le donne “le protette”?», fringuella di rimando Stefania Prestigiacomo, riferimento delle Lisistrate azzurre. «Solo unite vinceremo la battaglia...», insiste l'una. «Non è una battaglia di sessi ma una battaglia per la qualità della democrazia», filosofeggia Laura Ravetto, la Masaniello di Forza Italia che per prima ha proposto il fortunato «segnale anche visivo», il simbolo da mandare alla Camera, raccomandandosi che fosse neutro e unisex, così per dire. E così per trascorrere anche l'intera domenica sulla questione della parità, in un Paese nel quale governano otto ministre e nel quale in ogni professione tante donne si dimostrano le più brave e le più meritevoli («e invece in politica no», rivendicherà ancora la Prestigiacomo puntando l'indice sul merlo maschio).
L'insulsa polemica, sospettata di essere il classico «cavallo di Troia» per sabotare l'Italicum, non può che trovare terreno fertile alla Camera, dove la presidente Laura Boldrini fa gli straordinari per l'occasione. Cicerona del Palazzo per i visitatori della domenica, assicura che la riforma elettorale vedrà luce nel voto di oggi, «salvo imprevisti», prima di finire nelle secche del Senato. Le trattative per disinnescare le mine paiono ben avviate, e la questione della parità non può che essere «storica» per l'ossessionata Boldrini; intervistata da Lucia Annunziata, ribadirà in tivù di ritenere il principio valido in sé e «non ancorabile a logiche di scambio, motivo in più per ragionare nelle segreterie dei partiti».
Eppure questo sembrava, quando l'altro giorno una serie di emendamenti presentati da una deputata di minoranza del Pd, Roberta Agostini, ha fatto partire l'offensiva. Tanto che da Forza Italia veniva subito uno stop, poi rimosso da Berlusconi in persona. Ma ancora ieri il Mattinale ricordava a Renzi e compagni che pacta servanda sunt e che «se alla Camera sta andando così, al Senato, con i piccoli partiti determinati, ne vedremo delle belle».
Rischi che la maggioranza di governo cerca via via ancora di spianare, rimettendosi alla disponibilità dello stesso Berlusconi. Così che persino Angelino Alfano, intervistato da Maria Latella su Sky Tg24, poteva giurare che il Ncd è «molto aperto, così come siamo assolutamente a favore delle preferenze. Il punto è se per raggiungere un determinato obbiettivo siamo pronti a far crollare tutto l'impianto della legge elettorale».
Ma il punto, se si consente, è pure quello tecnico, ben focalizzato da Maurizio Gasparri, con orgoglio non timoroso di ritorsioni: «Nella legge elettorale avrà un peso importante il radicamento territoriale, e sarebbe davvero una follia costringere i partiti a operare solo scelte di sesso...

È questo che lo schieramento trasversale delle deputate fatica a comprendere: stanno lì a sgomitare per avere più posti in Parlamento, immaginando chissà quale automatica conquista del potere. Un errore. E le prime a saperlo dovrebbero essere proprio parlamentari come la Carfagna, come la Lorenzin, come la Meloni... Tutte nominate da Berlusconi, o no?». La memoria, almeno a volte, non tradisce.

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