Il "modello Sicilia" è morto. Viva il "modello Sicilia". Nella terra del Gattopardo sei mesi fa sembrava fosse cambiato tutto, ma alla fine non è cambiato nulla. Perché quella strana alleanza esterna tra il governo di Rosario Crocetta e il Movimento 5 Stelle è naufragata sulla parola inciucio.
Per carità, le avvisaglie di una fine ingloriosa si erano già manifestate prepotentemente nell'ultimo mese, ma l'ombra di un accordo con il Pdl ha accelerato il processo, sancendo la morte politica del modello Sicilia.
Almeno è questa la sentenza - scritta in un comunicato di fuoco - dei 15 deputati grillini dell'Ars (l'Assemblea Regionale Siciliana): “Anche in Sicilia ormai il modello è quello dell’inciucio Pd-Pdl. Il governo Crocetta ha preso una strada di rottura col Movimento. La rivoluzione di Crocetta è finita prima di cominciare”.
Ci credeva l'ex sindaco di Gela. E ci credeva pure Beppe Grillo che, fino allo scorso febbraio, decantava il “modello Sicilia” definendolo “meraviglioso''. Qualcosa si è rotto però. Forse Crocetta (che governa insieme con l'Udc) ha pagato le aperture a un governo di scopo con la compartecipazione del Pdl, i sorrisi in Aula con Silvio Berlusconi, le esternazioni sull'elezione del presidente della Repubblica e per questi motivi si è consumata la vendetta dei grillini. Ma al di là della dietrologia, le fondamenta del "modello Sicilia" sono apparse precarie. Sin dall'inizio della sua nascita. E ancora prima.
"A Crocetta non stringerei la mano perché si candida a destra e a sinistra, non rispetta il suo mandato di parlamentare europeo. E poi è quello che dà meno sicurezza sulla mafia, sul rischio di infiltrazioni. Non per lui, ma per i suoi alleati dell'Udc", commentava il 25 ottobre scorso Giancarlo Cancelleri, quello che poi risulterà il grillino più votato in Sicilia nonché capogruppo del M5S all'Ars.
Contro di lui, o meglio contro l'azienda in cui lavorava, Crocetta sferrò un attacco che gli costò una querela per diffamazione. L'ex sindaco di Gela aveva infatti parlato di contiguità della società e del suo titolare con ambienti mafiosi. Diatribe da campagna elettorale? Può darsi. Ma dal risultato delle urne siciliane, per raffreddare gli animi ci è voluto un po' di tempo. Il M5S precisò immediatamente di essere “una zitella acida che non si allea con nessuno” e, dal canto suo, Crocetta iniziò a lanciare segnali adulatori (“Il M5S potrebbe essere un ottimo interlocutore”) alternati a messaggi di sfida (“I grillini sono deputati come tutti gli altri. Pensano di potere contribuire ad approvare le leggi o intendono continuare a “grillare” anche in Parlamento?”).
Poi arrivò la formazione della giunta regionale e il lato dolce e moderato di Crocetta prese piede: “Ho sempre avuto simpatia per Grillo che fra l'altro è anche ricambiata, credo che il M5S abbia apprezzato sia la composizione della mia giunta che le mie prime scelte”.
Il mese di dicembre fu quello in cui Crocetta e grillini si avvicinarono probabilmente di più. Almeno a parole. "Le sue proposte sembrano parole interessanti, condivisibili per certi versi e lavoreremo insieme", sostenevano Giancarlo Cancelleri e Antonio Venturino, vice presidente dell'Ars, spiegando che “noi lavoriamo sui nostri progetti ma siamo pronti a lavorare braccio a braccio con tutti i gruppi, non solo sui nostri provvedimenti, la diversità a volte arricchisce”. Arrivarono gli accordi sul microcredito, la convergenza sul blocco del Muos (il sistema di difesa satellitare Usa di Niscemi); sulla vicepresidenza grillina, sul Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef), sulla riduzione dei costi della politica; sull'abolizione delle province e sull'acqua pubblica. In piena campagna elettorale, Beppe Grillo tornò a riproporre – anche a livello nazionale- il “meraviglioso” "modello Sicilia".
E Crocetta, che si definì "il più grillino dei grillini", gli faceva eco: “In Sicilia abbiamo tracciato la strada ma servono convergenze parallele. Ognuno resta al suo posto, però un'intesa è possibile tra la sinistra riformista e il movimento radicale di Grillo”.
Alla fine di febbraio però il presidente della Regione Siciliana cominciò a forzare un po' la mano spronando il leader del M5S affinché votasse la fiducia a Bersani: “Ma Grillo vuole fare il cantore della contestazione o il poeta della rivoluzione? Deve superare dei tabù se vuole davvero salvare il Paese”.
Era solo l'inizio di un declivio annunciato e consumatosi in aula in primavera. A innescare le micce due disegni di legge. Il primo sulla doppia preferenza di genere che consente agli elettori di scegliere un uomo e una donna alle amministrative, a partire da quelle di giugno. All'Ars l'appoggio esterno garantito dal M5S venne sostituito da uno strano asse tra Pd e pezzi di Pdl. I grillini compatti votarono no e Crocetta cercò di fare il pompiere pungolante: "Spero che nel Movimento 5stelle si apra una riflessione, per approvare leggi si fanno delle mediazioni, non si può pensare di incassare tutti i risultati". Dal canto suo il M5S ribatteva che “noi votiamo solo le idee che ci convincono, decidendo di volta in volta e questa volta eravamo contrari".
La seconda e definitiva crepa si è verificata il 21 aprile scorso quando la commissione Finanze, secondo il racconto del deputato Salvatore Siragusa, “ha cestinato tutti i nostri emendamenti al bilancio, tra cui quelli sul reddito di dignità e il microcredito alle piccole e medie imprese. Non li hanno neppure guardati, nessun dibattito, presi e buttati. Da parte del governo c’è una chiusura totale nei nostri confronti. Stanno abbandonando il “modello Sicilia”, se mai è esistito, in nome dell’inciucio col Pdl, in linea con quanto sta avvenendo a Roma”.
Adesso, nonostante Crocetta sostenga che “il dialogo per me è sempre
aperto”, la frattura con il M5S appare irreparabile. Così come la morte politica del modello Sicilia, nato sotto i migliori auspici, morto sull'ombra delle larghe intese romane e sepolto sul suolo siciliano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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