Il cinema di questi anni si nutre di nostalgia, il rimpianto per un mondo andato in frantumi, una sorta di paradiso perduto dove tutto sembrava più vero e bene o male si viveva tra persone perbene. Non è esattamente così, ma il tempo smussa i ricordi. Non è un caso, comunque, che la Mostra del Cinema di Roma si apra con La grande ambizione di Andrea Segre. È una immersione negli anni Settanta, un ritorno, ma questa volta a colori e non in bianco e nero. I colori sono appunto il segno di come te la ricordi quella stagione, come è stata raccontata, come ti piace immaginarla. Il protagonista della storia è Enrico Berlinguer, il suo volto, i suoi sorrisi, la serietà pubblica che è un vestito marrone da portare addosso, il coraggio di cercare una strada italiana, con orizzonte europeo, per un comunismo un po’ più lontano da Mosca, l'ombrello della Nato da riconoscere con un sospiro e il segno finale della questione morale. La sua morte ha senza dubbio reso il c'era una volta del Pci molto più dolce. La santità di Berlinguer finisce così per cancellare il rosso e il nero di quella stagione, gli Anni di Piombo, la violenza ideologica, l’aggressione minoritaria alla democrazia e poi la crisi economica, la spesa pubblica per comprare il consenso, l’origine di quel debito che adesso stringe alla gola qualsiasi governo e che ha ipotecato il futuro di diverse generazioni.
Elio Germano, che interpreta Enrico, cade in questo stesso gioco. Lo fa con una domanda che butta lì sul tavolo della conferenza stampa e su cui vale la pena di riflettere. "Oggi si parla tanto di chi sarà il prossimo leader... non abbiamo un leader... ma siamo sicuri che la risposta sia nel leader? Perché, innanzitutto, Berlinguer era un segretario e questa è una differenza semantica molto importante. Chiunque ci parlava di lui ci raccontava del suo inquietante silenzio, di una persona che faceva parlare molto gli altri, ascoltava molto e desumeva. Ecco, questa era un po' la caratteristica e c’era una ricchezza di punti di vista che venivano tutti ascoltati e rispettati attorno a quei grandi tavoli, c’era una fatica. Quella che dicevo si vede anche dal suo corpo quasi 'cristica' del mettersi a disposizione, del portare il peso, dell’essere appunto quello che tira le fila".
Germano si rivolge al suo partito di riferimento e tira in ballo il Pd di Elly Schlein. La richiesta è di non avere un leader ma di cercare una segretaria o un segretario. È che Berlinguer era tutte e due le cose. Era un leader per il suo carisma mite e silenzioso e per la capacità di dare risposte, qualche volta sbagliate, alle questioni politiche del suo tempo. Non cercava il consenso giorno per giorno, ma provava a fare i conti con il futuro e con la metamorfosi di una chiesa laica e di massa. Quello che ci si sforza di dimenticare è che Berlinguer era un segretario di partito perché i partiti non erano ancora stati cancellati dalla storia.
I vecchi partiti, con tutti i loro difetti, sono stati frantumati da Mani pulite. Il sistema è caduto sotto la pratica diffusa e implicitamente concordata da tutte le forze parlamentari delle tangenti. È il nodo non risolto di come finanziare la politica. È proprio questa però la domanda a cui dare una risposta. La giustizia ha fatto il suo corso e va bene così, ma prima o poi si dovrà fare i conti con quella rivoluzione. È il quesito che resta dopo la questione morale. È in fondo quello che chiedeva Bettino Craxi, il segretario del Psi, l’antitesi di Berlinguer, in quel discorso alla Camera diretto soprattutto ai suoi colleghi politici. Tutti hanno preso tangenti e senza dubbio questo è un reato, ma la risposta non può essere solo giudiziaria. I giudici facciano il loro mestiere, ma la risposta su come si finanzia la politica è appunto politica.
È la risposta che la sinistra non ha mai voluto porsi. È il pezzo mancante della loro storia. Il grande partito di massa è morto, più di qualcuno lo rimpiange, ma per ipocrisia continua a pensare che possa risorgere senza pagare dazio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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