Leggo malvolentieri, anzi non leggo, storie di mafia. Figuriamoci con quale stato d’animo mi accingo a scriverne. Ma questa merita uno sforzo. Da anni la magistratura siciliana indaga per accertare chi abbia accolto, in cambio di favori, le richieste di Cosa nostra volte ad addolcire per boss e picciotti il carcere duro (41 bis), che in effetti è una barbarie e non dovrebbe esistere in un Paese in cui le prigioni, anche quelle normali, sono già luoghi immondi e indegni. Ma questo è un altro problema, del quale alla gente non importa nulla, convinta com’è che i detenuti non siano persone, bensì carne da macello.
In ogni caso, per una ventina di anni, si era pensato che l’uomo nero fosse Silvio Berlusconi. Perché? Egli, secondo la vulgata, si sarebbe fatto finanziare dalla Piovra- intermediari Marcello Dell’Utri e Vittorio Mangano (lo stalliere assunto nella villa di Arcore) - allo scopo di mettere in piedi Forza Italia. In cambio di che? Un trattamento misericordioso nei confronti dei capibastone carcerati. L’affare si sarebbe concluso dopo un lungo negoziato, durante il quale i mammasantissima, per essere più convincenti, avevano organizzato una serie di attentati di cui abbiamo memoria: Milano, Firenze, Roma eccetera.
Vado veloce per non tediare il lettore. Fu raggiunto - secondo il teorema- un accordo: il Cavaliere scende in politica con la sponsorizzazione della mafia e questa ottiene da lui la promessa di eliminare il 41 bis. Do ut des. Le toghe attaccano ad aprire inchieste, una appresso all’altra, col contributo fantasioso di vari pentiti, meglio detti collaboratori di giustizia. Gravano sulla capoccia di Berlusconi e Dell’Utri sospetti pesanti. Ma nulla di concreto. Strada facendo, i Pm si rendono conto di molte incongruenze: per esempio che Forza Italia nacque sì nel 1993, ma vinse le elezioni nel 1994, cioè quando il patto fra la criminalità e lo Stato (finalizzato ad attenuare le misure carcerarie) era già stato sottoscritto. Da chi? Non certo da Berlusconi, che non aveva ancora vinto le elezioni, ma da altri. Al governo c’erano personaggi diversi, tra cui il guardasigilli Giovanni Battista Conso, tecnico perbene, il quale poi è stato l’unico ad ammettere le proprie responsabilità, ed ora è nelle grane.
E Nicola Mancino? Era ministro dell’Interno, prima, e poi vicepresidente del Csm ( Consiglio superiore della magistratura). Che c’entra questi? Era dietro, stava andando, è caduto giù come l’Armando. Un gran pasticcio. Dato saliente: i Pm si erano mossi persuasi di incastrare il Cavaliere e, invece, si sono imbattuti in Conso e Mancino. E sono andati avanti, deviando rispetto all’obiettivo iniziale. Attenzione. Non sappiamo se siano stati commessi reati né, eventualmente, quali. Ma sappiamo che, a un certo punto, il povero Mancino si è agitato e ha cominciato atelefonare al Quirinale nella speranza di ottenere dall’amico Giorgio Napolitano una dritta sul comportamento da tenere nella delicata congiuntura. Peccato che il suo telefono fosse sotto controllo, tanto per cambiare. Cosicché le conversazioni sono state registrate e ora si trovano lì, sul sito del Fatto Quotidiano , a disposizione di chi desideri ascoltarle e farsi due risate.
Chiacchierate tra il preoccupatissimo Mancino e il consigliere giuridico del capo dello Stato, Loris D’Ambrosio,il quale,parlando a nome del presidente, diceva la rava e la fava all’interlocutore. Lecito o no? Non tocca a noi stabilirlo. È un fatto tuttavia che il Colle abbia intrattenuto rapporti con un signore in quel momento alle prese con una vicenda giudiziaria. Napolitano era al corrente di ciò? Pare proprio di sì, e non si è opposto per motivi che ignoriamo. Nel frattempo, monta la polemica, alimentata in particolare dal Fatto Quotidiano , che ravvisa nella condotta del supremo garante della Costituzione qualcosa di anomalo, diciamo irrituale. E gli pone alcune domande onde chiarire la questione: nessuna risposta. Si crea un’atmosfera densa di imbarazzo.
Il presidente vorrebbe stendere un velo di silenzio sulla vicenda, forse teme che essa diventi un pretesto per minacciare la sopravvivenza del governo Monti. Sia come sia, il Colle si dà da fare: telefonate premurose ai direttori dei maggiori giornali per invitarli a non prestare attenzione ai soliti maligni, spargitori di fango e roba del genere. Inviti accolti: la stampa, nel suo conformismo consolatorio, si è immediatamente prodigata nella difesa d’ufficio - basata sull’indignazione- della Presidenza. Ma il nodo non è sciolto. Napolitano, com’è suo costume da tempi remoti, è tardivo nell’avvertire i fenomeni politici e sociali: ora, e soltanto ora, ha capito che le intercettazioni telefoniche, e la loro pubblicazione, sono fastidiose e turbano la convivenza. Pertanto aggiunge: vanno disciplinate. Forse poteva arrivare prima a questa conclusione. Ma tant’è. D’altronde lui trascurò anche i carrarmati che invasero l’Ungheria e perfino Aleksandr Solzenicyn (l’autore di Arcipelago Gulag ), perseguitato nell’Urss.Diciamo che è un tipo distratto. Abbiamo la sensazione che tutto finirà a tarallucci e vino.
Anche se l’incidente, a nostro giudizio, costituisce un precedente.
Da qui in poi, chiunque abbia una rogna giudiziaria potrà avvalersi della consulenza, suppongo gratuita, del Quirinale, esattamente come Mancino. Il quale - essendo uno della Casta- è comunque un cittadino come tutti gli altri italiani? Ci auguriamo che non sia un raccomandato speciale di Napolitano. Sarebbe grave, ma non tanto strano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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