Roma - Mentre il governo si chiede se e quanto aumentare l'Iva che pagano i cittadini per fare quadrare i conti con Bruxelles, l'Europa ci mette in mora perché lo Stato non paga la sua Iva. Cioè restituisce con ritardo inaccettabile, la quota di imposta che per legge deve dare ai contribuenti. La vicenda non è quella dei debiti della Pa, ma gli assomiglia molto. Il tema di fondo che solleva è lo stesso: il pubblico made in Italy è un esattore implacabile, ma quando deve dei soldi (magari a piccole imprese già strozzate dalla crisi) diventa lento e sciatto e si fa scudo con leggi e cavilli per non fare il dovere di ogni debitore. Poco importa che i creditori siano spesso piccole aziende che dipendono dalla disponibilità di liquidi per pagare fornitori e clienti.
Il caso è appunto quello dei rimborsi in conto fiscale e in particolare i crediti Iva, quelli che il fisco deve ai privati. Si crea quando le aziende pagano ai fornitori un'Iva maggiore rispetto a quella che incassano dai clienti (magari perché si applicano due aliquote diverse). L'Italia paga troppo tardi il fisco ai privati tanto che - ed è questa la notizia - la Commissione europea sta per aprire una procedura di infrazione contro Roma. La decisione sarà presa domani dalla direzione generale fisco dell'esecutivo di Bruxelles, che la comunicherà all'Italia entro giovedì.
I punti contestati sarebbero (condizionale d'obbligo visto che ancora non ci sono comunicazioni ufficiali) tre, tutti molto complessi, riassumibili comunque nei classici ritardi. Bruxelles osserva come in Italia servano circa due anni per avere il credito e come in alcuni casi il rimborso sia rinviato sine die. Procedure lunghe se non infinite. Il limite massimo in Italia è di quattro anni e quello, per così dire, normale di tre mesi riveste carattere di eccezionalità. Tanto che il fisco pretende una sorta di «cauzione» per cautelarsi nel caso in cui, in un secondo momento, il credito si dovesse dimostrare eccessivo. Dai rimborsi in tempi brevi vengono poi escluse le aziende (o i professionisti) che non siano contribuenti da almeno cinque anni. E questo taglia fuori le start up.
La procedura di infrazione è solo una prima tappa. Una messa in mora alla quale, se non saranno presi provvedimenti cambiando la normativa (e magari la prassi), seguirà un parere motivato, quindi il ricorso alla Corte di giustizia. Abbiamo il tempo di redimerci, insomma.
Con la restituzione dei debiti della Pa il governo ha già accelerato il pagamento dei crediti in conto fiscale arretrati. Nel 2013 sono stati già pagati 7,9 miliardi di rimborsi fiscali (tutte le imposte, non solo l'Iva) contro i 6,8 miliardi del 2012.
Ma Bruxelles in realtà chiede una soluzione strutturale. Se arriverà, non potrà che fare piacere alle aziende. E a Confindustria che preme da tempo per soluzioni. Come per debiti Pa, anche per i crediti fiscali una soluzione dovrebbe essere quella dei certificati dall'Agenzia delle entrate da scontare nelle banche.
Quella di domani è la prima procedura di infrazione europea contro lo stato Italiano cattivo debitore. Ma pochi giorni fa il vicepresidente della commissione Antonio Tajani ne ha annunciata un'altra che riguarda la restituzione dei debiti Pa. La legge italiana, per quanto attesa e positiva, ha un paio di punti da chiarire. Intanto il termine di 60 giorni per il pagamento, che nella normativa europea è un'eccezione, nel decreto di recepimento è generalizzata. Poi manca un richiamo alle «prassi inique» nel pagamento delle fatture.
Ad esempio fatture emesse da enti pubblici e post-datate, procedure studiate per rinviare il pagamento il più possibile, giochi elusivi con le scadenze delle autorizzazioni. Comportamenti che non ti aspetteresti nemmeno da un cattivo debitore privato.
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