Lo «stilnovista» rischia la fine di Veltroni

RomaIl prossimo passo, sfotte Enrico Franceschini che si è visto plagiare lo slogan Adesso!, «sarà quello di farsi crescere la barba» (come ha fatto quest'estate il capogruppo del Pd). Quello successivo, farsi chiamare Matthew come fu per Walter, leggesi rigorosamente Uòlter, Veltroni.
Matteo Renzi come Zelig, lo straordinario personaggio capace di metamorfosi in linea con l'interlocutore del momento. Anche se è proprio l'ex segretario del Lingotto che viene visto come principale modello ispiratore del sindaco di Firenze. Che, dopo qualche blandizie iniziale, ha preso a colpirlo duro, notificandogli stima come scrittore piuttosto che come politico. «Visti i risultati, manderei Veltroni a casa o in Africa», ha detto l'ingrato. Considerata l'età di Renzi, sembra abbastanza naturale che il suo patrimonio di idee si sia forgiato in era veltroniana. Una su tutte, diremmo: quella di superare ogni steccato ideologico e di farla finita con l'anti-berlusconismo. Per Veltroni fu una scelta un po' costretta e un po' ambigua, visti i tempi di contrapposizione che non l'avrebbero fatta digerire al partito. Così l'ex segretario in campagna elettorale optò, infine, per la famosa perifrasi «il principale esponente dello schieramento avverso», pur di non pronunciare il nome di colui che sarebbe stato il «principale vincitore» delle successive elezioni. Tortuosità inusitate, per Renzi, che l'ha superate d'un balzo: quello che lo portò ad Arcore, a una famosa cena a casa Berlusconi. Tranchant la morale tratta dall'episodio: «Chi parla male dei propri avversari fa un errore».
La caccia alle somiglianze, da molti intrapresa, ha condotto a scorgere nelle prime proposte di Renzi una diretta discendenza da quelle di Veltroni: l'elezione diretta del presidente del Consiglio europeo, le dismissioni del patrimonio pubblico, un nuovo diritto del lavoro ispirato alle idee di Ichino. In realtà, si tratta di proposte che ebbero più d'un padre, all'interno del Pd e anche fuori. È vero, invece, che Renzi ha adottato la logica del partito «fluido, aperto» che fu di Veltroni: scelta però inevitabile, per uno che deve dare l'immagine di forte rottura con il passato.
Di Uòlter, allora, Matthew resuscita soprattutto certi schemi mentali e certi toni tendenti all'orizzonte, cioè al miraggio, vale a dire al nulla: l'americanismo come clava e sinonimo di «nuovismo», il profluvio della parola «speranza» nei discorsi, il giovanilismo esibito (rispetto a Walter, almeno lui può), la retorica sulla «gente normale», la furba strizzatina d'occhio alle donne in ogni salsa (Renzi predilige zie, nonne e casalinghe). Sulla religione il sindaco di Firenze dimostra più coraggio dell'ex primo cittadino di Roma, proclamando senza complessi la propria cattolicità, laddove Walter s'involveva nel «tener conto di chi, mosso dalla fede, può portare alimento alla vita pubblica».

E se Veltroni cercava rovinosamente la via al «partito maggioritario» (mal gliene incolse), Renzi ha rotto ogni indugio e si dice sicuro di prendere voti tra gli elettori del centrodestra. Impeto generazionale che coglie lo smarrimento generale, ma che comporta un salto mortale. Uno «di sinistra, ma anche di destra» sinceramente può essere anche di troppo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica