Sotto gli occhi di tutti c'è un caos senza precedenti, ma dietro le quinti è ancora peggio: si fa sempre più concreto il rischio della scissione. Frastornato dall’esito dell'elezione del presidente della Repubblica e dalle dimissioni di Pier Luigi Bersani, adesso il Partito democratico è chiamato ad affrontare in primis la partita del governo che si apre oggi e, subito dopo, quella congressuale. La parola d'ordine dei vertici piddì è semplice: limitare al massimo i danni. Un auspicio destinato a cadere nel vuoto. Basta leggere l'intervista rilasciata da Matteo Renzi oggi a Repubblica per capire che il sindaco di Firenze darà del filo da torcere ai vertici di via del Nazareno pur di prendere le redini del partito aprendo così la strada a una scissione interna.
"Un anno di governo e poi al voto e basta inseguire Grillo, l’agenda la dobbiamo dettare noi". Questo in sintesi il pensiero del sindaco di Firenze che già pensa a come intende rifondare il Pd, un partito che lui stesso accusa di riflettere solo sul suo ombelico. A un nuovo Pd, però, guarda anche Fabrizio Barca che punta a sdoppiare la guida del partito dalla premiership. Le posizioni sono distanti, parecchio distanti. E per questo a gestire una fase a dir poco delicata dovrebbe essere un gruppo di "reggenti" che verranno scelti nella direzione del partito che è stata convocata per domani. Una sorta di "direttorio" del quale i renziani chiedono di entrare a far parte. In quella stessa riunione verrà stabilita anche la delegazione Pd che andrà alle consultazioni con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per la formazione del nuovo esecutivo. Che sarà composta certamente dai capigruppo, Roberto Speranza e Luigi Zanda, e probabilmente dal vice segretario Enrico Letta e che dovrebbe avere il mandato di recepire la rotta che darà ilk capo dello Stato. Il condizionale, però, è sempre d'obbligo perché per come è ridotto il Pd tutto è possibile.
"Le dimissioni di Bersani sono una scossa data al partito perché ciascuno si responsabilizzi - fa presente il capogruppo del Pd alla Camera Roberto Speranza - così non si va da nessuna parte: al Pd manca il collante, la visione comune". Secondo fonti vicine a via del Nazareno, entro una decina di giorni sarà convocata l’assemblea nazionale che detterà i tempi e i modi del congresso. Il pressing per aprire la fase congressuale non è portata avanti soltanto da parte dei renziani. Rosy Bindi ha già scaricato Enrico Letta il cui nome continua a circolare per la guida del nuovo esecutivo. Pippo Civati (ancora più duro) ha attaccato a testa bassa l'intero partito puntando il dito contro i "traditori" che hanno affossato Bersani: "I soliti protagonisti della politica italiana che ora chiamate 'ministri', poi potreste ritrovarvi, tra qualche ora, a chiamarli 'ministri'". Massimo D’Alema si è affrettato a negare l'esistenza di alcuna regia dietro l’affossamento di Prodi: "È stato candidato in modo francamente assurdo". Un siluro che non solo prende di mira Bersani, ma che affonda anche i renziani che, all'assemblea di venerdì mattina, hanno tifato il Professore: "Non si può tirare fuori in questo modo la candidatura di Prodi senza una preparazione, senza un’alleanza. Si cercano capri espiatori, per errori politici che sono stati compiuti, in persone che non c’entrano nulla". Insomma, la resa dei conti è iniziata.
La frattura interna al partito rischia di penalizzare anche il Paese. Le lotte fratricide e gli scontri tra gli schiramenti nel partito sono il vero ostacolo alla formazione di un esecutivo di larghe intese. Più che pensare agli italiani, infatti, i vertici di via del Nazareno sono ancora alle prese con i 101 "traditori" che hanno votato contro l’elezione di Romano Prodi al Quirinale. Adesso è tutti contro tutti. "Dicono che sono la traditrice - spiega Alessandra Moretti, rea di aver voltato le spalle al partito su Franco Marini - ma cosa diciamo di Vendola e Tabacci? E di quelli che si sono spellati le mani per Prodi e poi hanno tradito? Io Bersani continuerò a guardarlo negli occhi e lui lo sguardo non lo sposterà". Il peggio, però, non è ancora passato. La votazione sulla fiducia al governo che verrà incaricato da Napolitano sembra tutt’altro che una passeggiata.
E c’è chi mette in conto un gruppo (almeno una decina di persone) che potrebbe votare contro e, dopo lo strappo, uscire dal partito. Sullo sfondo resta, dunque lo spettro della scissione. Che a questo punto potrebbe essere "a sinistra".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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