Il tabù del Welfare: gli statali protetti più dei Panda...

Nessuno ha più santi in paradiso di loro. Hanno attraver­sato tutto il Novecento, nascosti e inamovibi­li, e continuano a ritenersi sacri e intoccabili

Il tabù del Welfare: gli statali protetti più dei Panda...

Lo statale italiano è una specie protetta, come il panda, la foca monaca e l’orso marsicano. So­lo che rispetto a questi poveri ani­mali non è affatto in via di estinzio­ne, ma pesa sulle casse pubbliche più del dovuto. Il sacro dogma dell’intoccabili­tà degli statali è stato messo in di­scussione in tutto il mondo. La cri­si di questi anni ha aperto diverse falle nelle amministrazioni pub­bliche. Quello che per tradizione era il posto fisso, dove rifugiarsi per percorrere una vita lavorativa senza rischi, coccolati dall’idea che gli Stati non possono fallire, è diventato traballante come altri. Ancora con molte garanzie, ma non più inossidabile e immune al­le intemperie dei mercati.

Gli sta­tali sono diventati lavoratori qua­si come gli altri. L’ultimo caso è quello del Cana­da, il Nord del Nord dell’America, considerato al sicuro da ogni sus­sulto. Ricco quanto gli Usa, atten­to al sociale quanto l’Europa. Ep­pure costretto a fare i conti con la crisi. Il governo sceglie quindi una misura sicuramente impopolare, ma necessaria e ineludibile. Bisogna licenziare. Lo Stato è troppo grasso. È un’azienda con troppo personale in esube­ro. E allora si va di forbice. Il ministero delle Finanze annuncia una riduzione della spesa pubblica con un piano di tagli di 19.200 posti di lavoro dei funzionari federali in tre anni, ovvero il 4,8% del totale. Una scelta che per­mette al governo di non aumentare le tasse. Ma non c’è solo il Canada. È successo in Grecia, in Spagna, nel Regno Unito e perfino in Germania.

Non è stato facile. Atene era una bolgia di proteste, a Madrid le piazze so­no stracolme e i sindacati minacciano una lunga stagione di guerriglia. Eppure è stato fatto. In Italia non se ne può neppure parlare. Se qualcuno accosta per sbaglio la parola sta­tali a quella licenziare si scatena il finimon­do. È come se uno volesse espropriare San Pietro. Monti e la Fornero hanno provato ad estendere la riforma dell’articolo 18 ai dipen­denti pubblici. Hanno fatto subito marcia in­dietro, quasi di nascosto, come se fossero la­dri o delinquenti. In questo Paese non c’è nul­la di più sacro del ministeriale. È una catego­ria dello spirito. Toccare gli statali significa prima di tutto perdere voti. Sono tanti, sono organizzati e vendicativi. Questo accade anche altrove, ma da noi sono una potenza feroce. Quando nel secondo governo Berlusconi, all’inizio del millennio, si provò a toccare qualche pri­vilegio non solo si scatenò l’ira dei sindacati, ma Casini e Fini si scandalizzarono così tan­to che nessuno osò mai più riprovarci. Gli sta­tali piacciono a fette di Pdl e al grande centro, ai grillini e a Di Pietro, a Vendola e ai marghe­r­itini, a Bersani e al resto del partito, alla Chie­sa e naturalmente ai sindacati.

Nessuno ha più santi in paradiso di loro. Hanno attraver­sato tutti il Novecento, nascosti e inamovibi­li, e continuano a ritenersi sacri e intoccabili. Chi li sfiora viene dannato.

Anche se tutti san­no che, tra sovrapposizioni di ruoli e assun­zioni clientelari, ce ne sono almeno 300mila in più. È per questo che quando un panda incon­tra uno statale italiano si preoccupa. Il ri­schio è che a essere licenziato sia lui.

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