Roma - Il clima elettrico di questi giorni. Il desiderio di tornare ad avere un ruolo più operativo. Le pressioni dei parlamentari a lui vicini affinché torni ad avere un ruolo più incisivo in un passaggio fondamentale per il centrodestra, come inevitabilmente sarà l'archiviazione del Pdl e la rinascita di Forza Italia.
È un momento molto delicato per Angelino Alfano, segretario di un partito ormai prossimo alla chiusura, vicepremier e ministro dell'Interno di un governo già strutturalmente nato per soffrire, ma ormai, di fronte alla tempesta giudiziaria, inevitabilmente votato al naufragio. Per questo, secondo le indiscrezioni raccolte dalla Stampa, l'ex Guardasigilli starebbe riflettendo sulla possibilità di dimettersi in autunno dal suo incarico al Viminale, conservando soltanto la poltrona di vicepremier. «Pare che l'interessato ci stia seriamente riflettendo», scrive Ugo Magri, anche perché in questa fase e «nell'interesse della stabilità politica sarebbe conveniente trascorrere più tempo ad Arcore».
Questa voce raccolta dal quotidiano torinese non coglie particolarmente di sorpresa i parlamentari azzurri, anche quelli schierati su posizioni non lontane dalle sue, quelli comunemente identificati come «colombe». «Ci sta pensando, è una possibilità» ammette un deputato. «D'altra parte il doppio ruolo non è stato una sua richiesta ma una garanzia a tutela dello stesso Berlusconi. E in questa fase il suo ruolo di equilibratore sarebbe molto utile, anche nel caso in cui davvero si finisse per tornare alle urne e si dovesse cercare un'interlocuzione con alcuni settori più moderati che hanno sempre guardato a noi e cercano un riferimento».
Le sue dimissioni erano diventate argomento di attualità nel mese di luglio, nel mezzo del pasticcio kazako che rischiava di travolgere il governo. Da più parti, soprattutto sui giornali di centrosinistra, ma anche da qualche alleato del Pd, il suo allontanamento volontario veniva richiesto a gran voce. Legare il rientro al partito a quella vicenda, ovviamente, non sarebbe stato né possibile né dignitoso. Adesso, di fronte a una situazione politica in costante evoluzione e con una Forza Italia da ricostruire, il passo indietro potrebbe essere consumato in un contesto politico del tutto diverso e la scelta apparirebbe naturale, come una sorta di garanzia anti-marginalizzazione (anche se altri esponenti del Pdl ritengono che lasciare il Viminale potrebbe ottenere l'effetto opposto e finirebbe per indebolirlo).
Le possibili dimissioni erano tornate di attualità di lì a pochi giorni, alla vigilia della sentenza della Cassazione sul processo Mediaset. «Se c'è da difendere i nostri ideali e la storia di tutti noi e la nostra storia, presidente, coincide con la sua, siamo tutti pronti alle dimissioni, a partire dai ministri al governo», aveva detto parlando ai gruppi parlamentari.
Alfano, spiegano, ci tiene anche a dissipare le letture e le interpretazioni di coloro che cercano di accreditarlo come uno dei capofila di un nuovo progetto neocentrista. E a rivendicare il suo rapporto di fiducia con l'uomo che due anni fa lo indicò come suo delfino. E che ieri è tornato a difendere.
«Tutto il Pdl è forte e unito attorno al suo leader, cioè Silvio Berlusconi» le sue parole in un'intervista al Tg1. «Pensiamo che sia interesse della democrazia che una parte importante del popolo italiano non venga privata di una leadership vera e riconosciuta, in questi 20 anni, come quella di Silvio Berlusconi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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