Todde nei guai, la doppia faccia di 5S e Pd

Oggi contrordine compagni. Visto che sul banco degli imputati non c'è più Berlusconi, che la vicenda riguarda la grillina Todde, governatrice del "campo largo", è tornata la ragione

Todde nei guai, la doppia faccia di 5S e Pd
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C'è un dato costante della seconda Repubblica, quella nata con l'avvento del giustizialismo e a seguire di ogni forma di populismo dal 1994 in poi: leggi, regole, regolamenti, commi e via dicendo vengono interpretati strumentalmente a seconda del momento, dell'interesse di parte e dei propri comodi politici e no. La vicenda della governatrice sarda, la grillina Alessandra Todde, che secondo il collegio elettorale di garanzia della Regione presso la Corte d'Appello avrebbe violato in sette punti il regolamento sulle spese elettorali chiedendone con un'ordinanza la decadenza, ne è l'ultimo esempio.

Premessa: la decisione della Corte d'appello in merito alla decadenza, secondo la legge, dovrebbe essere votata dal consiglio Regionale, cioè dal parlamentino sardo.

Ora, senza entrare nel merito dei punti contestati, quello che colpisce è la posizione assunta dai 5stelle e dal Pd a paragone della tesi che sposarono quando il Senato votò in due occasioni diverse la decadenza di Silvio Berlusconi e poi del sottoscritto: oggi, lo si desume soprattutto dall'atteggiamento della Todde, sposano la tesi che non ci sia un automatismo nell'applicazione della decisione assunta dalla magistratura, perché il potere di far decadere o meno la governatrice spetta al Consiglio regionale; all'epoca, invece, sia

per il Cavaliere, sia per il sottoscritto dai grillini al Pd ufficiale (per la verità non tutto), alla sinistra radicale, dal Fatto di Travaglio a Report, insomma tutti i pasdaran della decadenza, sostennero l'idea, nella loro paradossale interpretazione della legge Severino, che il voto dell'aula di Palazzo Madama fosse solo un rito che doveva ratificare la decisione «sovrana» dei giudici. Addirittura il presidente del Senato dell'epoca, Pietro Grasso - come ricorda Elio Vito, ai tempi parlamentare di Forza Italia, in un suo libro di memorie - nel caso di Berlusconi e, di conseguenza, anche del sottoscritto «stabilì che il voto del Senato dovesse essere palese e non segreto, a differenza di quanto prevedono i regolamenti parlamentari sui voti riguardanti le persone». Il tutto nella logica che la decisione dell'assemblea di Palazzo Madama dovesse essere quasi un atto dovuto della politica verso la magistratura. Una tesi folle, il concentrato di quella cultura giustizialista e giacobina che ha privato questo paese per quarant'anni di ogni barlume di garantismo e subordinato il potere legislativo ed esecutivo al potere giudiziario.

Oggi contrordine compagni. Visto che sul banco degli imputati non c'è più Berlusconi, che la vicenda riguarda la grillina Todde, governatrice del «campo largo», è tornata la ragione. O meglio è stata riconosciuta un'ovvietà, che prima ancora del prestigio delle istituzioni, delle

assemblee parlamentari, dei valori costituzionali chiama in causa il buonsenso. Per dirla con le parole di un costituzionalista del Pd, Stefano Ceccanti, «se la legge prevede che una decisione debba essere ratificata da un'assemblea parlamentare o regionale, quel voto è sovrano, altrimenti il legislatore avrebbe dovuto non prevedere quel passaggio». Una ratio che i giustizialisti di ogni credo dovrebbero tenere a mente sempre e non solo quando fa comodo.

Ci hanno messo più di trent'anni da quando nella loro logica bastava un avviso di garanzia per costringere un ministro alle dimissioni o prevedere l'espulsione di un eletto da un'assemblea parlamentare per un decreto della magistratura, a capire - ma solo nel caso riguardi loro - che certe logiche rappresentano un'offesa alla democrazia. Meglio tardi che mai. Almeno si spera.

Resta il fatto che all'epoca se io non avessi preso l'impegno di fronte al Senato che mi sarei dimesso qualunque fosse stato l'esito del voto che mi riguardava (andò bene e la decadenza fu respinta), col cavolo - lo dissi anche allora - che avrei lasciato Palazzo Madama. Certe battaglie - lo insegna la storia di questi anni - vanno combattute fino in fondo.

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