Carrozzoni clientelari al servizio della politica. Il governatore della Toscana Enrico Rossi ha inviato nelle settimane scorse a ben 1 milione e 400.000 toscani l'invito ad andare a votare per eleggere i membri dei consigli dei 6 nuovi consorzi di bonifica toscani, che avrebbero il compito di gestire i progetti futuri per la manutenzione dei fiumi. Così non è.
Dovrebbero curare i nostri fiumi, proteggerci dalle alluvioni, pulire i boschi sui versanti delle montagne, i fossi invasi da rifiuti o coperti dal cemento, rinforzare gli argini o costruire dighe e ponti. Dovrebbero fare un sacco di cose, i consorzi di bonifica, per disinnescare frane, esondazioni, allagamenti che ogni anno si ripetono in Toscana. E farlo grazie alle nostre tasse. In realtà finora hanno speso la metà dei soldi per il personale e burocrazia. Hanno impiegato "sul campo" solo un terzo dei loro 501 dipendenti, il resto è rimasto dentro il cassetto della scrivania. Si sono affermati più come piccoli centri di potere che come organi di difesa del suolo, sultanati locali in grado di distribuire appalti e risorse sul territorio. Nell'immaginario collettivo, carrozzoni.
A fare i consorzi ci obbliga la legge, noi abbiamo razionalizzato il sistema, investiremo così risorse in interventi concreti", ribatte Rossi. Elezioni che sono costate 1,8 milioni di euro e che paga la stessa Regione Toscana. Ma quanti soldi gestiscono e come i consorzi? Sono 132 milioni di euro, 65 dei quali provenienti dai contributi degli utenti (ora diventeranno 90, dato che si allarga la platea dei tassati), il resto da Regioni e Province. In media delle tasse pagate dai cittadini il 40-50% se ne va in gestione dell'ente. Cioè per pagare gli stipendi al personale, cancellerie, amministrazione, telefoni, stampanti eccetera. I presidenti dei consorzi di bonifica hanno appannaggi di circa 33.500 euro lordi annui, mentre i consiglieri dei hanno un gettone di presenza di 30 euro lordi a seduta.
Di 501 dipendenti complessivi, solo 166 sono operai. Va ancora peggio se poi le risorse vengono
spese come racconta Paolo Bargellini, ex presidente del consorzio dell'Ombrone e del Bisenzio ora commissario: "Sui grandi appalti - spiega candidamente - c'è l'obbligo di gara e vi partecipano 20 aziende ogni volta. Con gli affidamenti minori cerchiamo di distribuire lavori in modo equo alle aziende fornitrici sul territorio, sotto i 40mila euro la legge ci consente l'affidamento diretto, senza gara". E il 90% dei casi. Ora ci si è messa la nuova legge regionale, che per risparmiare ordina ai consorzi di assegnare "preferibilmente i lavori di manutenzione ordinaria agli imprenditori agricoli". Un bell'aiutino ai feudatari della bonifica.
Una casta di burocrati, riciclati della politica, con tanto di poltrone ben retribuite. Una cifra "immorale" specie in tempi di gravissima crisi economica. I numeri di questi consorzi di bonifica in Toscana sono scandalosi: 26 membri per consiglio con tanto di retribuzioni e gettoni di presenza, 156 consiglieri totali, 90 eletti e 66 nominati dalla Regione, provincie e comuni, 420 dipendenti dei consorzi con il 36% di operai e il 41% di tecnici.
La cifra riscossa dalle tasse di questi carrozzoni della Regione Toscana abbiamo detto ammontano a oltre 65 milioni di euro, ma di questi ben 20 milioni vanno alla retribuzione del personale e solo il 75% di questi introiti, viene investito per i lavori di messa in sicurezza di fiumi e fossi toscani. Uno scandalo che meriterebbe, come per il caso del buco ai bilanci dell' Asl di Massa, da oltre 400 milioni di euro, approfondite commissioni indipendenti parlamentari d' inchiesta, perché non è inammissibile questo palese spreco di risorse, finanziato dai contribuenti toscani, a colpi di odioso ed inutili balzelli, ma utili al foraggiamento di un sottobosco politico burocratico-parassitario. Tutto questo mentre si generano in tutta Italia (l'ultima in Sardegna) situazioni di grave emergenza dovuta al dissesto idrogeologico.
Ma questo scandalo clientelare non riguarda, purtroppo, solo la Toscana. Nel 2009 due intere aree della Provincia di Palermo, Polizzi Generosa e San Giuseppe Jato, non hanno ricevuto una sola goccia d'acqua per i loro ottomila ettari di terreno coltivato. Un altro esempio di mala gestione del territorio e degli sprechi italiani sono rappresentati dagli undici consorzi di bonifica della Sicilia che dovrebbero gestire impianti e distribuzione dell'acqua delle dighe, ma che troppo spesso restano scatole vuote. L'impressione è che sino ad oggi siano serviti solo a vivacchiare, lavorando non oltre l'ordinario, con il solo scopo di creare uno stipendificio.
Obiettivo quest'ultimo che sembra essere pienamente riuscito: queste strutture hanno oltre 2.500 impiegati e costano alle casse della Regione Sicilia 120 milioni di euro. Si mette con numeri alla mano la Cia siciliana e li snocciola evidenziando le vergogne del sistema. Che qualcosa non funzioni appare evidente anche ai più sprovveduti. Come potere indicare, se non in questo modo, l'intero apparato nel momento in cui si dà una sbirciatina alla immensa pianta organica.
Come si spiega che da un consorzio ad un altro possa emergere una abissale discrepanza tra il numero degli impiegati e gli ettari da gestire? Un esempio su tutti Enna, con appena 6.800 ettari (68 chilometri quadrati) da irrigare effettivamente e ben 315 dipendenti, è il secondo consorzio della Sicilia per numero di lavoratori. Significa in pratica che per irrigare da queste parti ci vuole in media un dipendente per appena 5 ettari. E peggio ancora fa il consorzio di Messina: qui addirittura un dipendente irriga 2,2 ettari.
Una vera sproporzione se si considera oltretutto che negli altri consorzi siciliani, che certamente non fanno eccezione per qualità e produttività, questi rapporti sono completamente "sballati". Ad esempio come è possibile che a Trapani basti un dipendente per irrigare 83 ettari, così come a Catania per irrigarne 56 o ad Agrigento per irrigarne 33? Un quadro statistico davvero allarmante che viene fuori mettendo a confronto i dati della Cia con quelli della Csei di Catania, costola del Formez, che ha proprio analizzato l'aspetto della gestione del territorio.
Altro aspetto che fa credere che questi consorzi siano sovradimensionati rispetto al loro effettivo lavoro è quello relativo agli ettari di territorio effettivamente irrigati. In pratica per ragioni di vario genere, che essenzialmente sono legati alla fatiscenza delle condutture, molto terreno che sulla carta dovrebbe essere irrigato, in pratica non lo è. Colpa della carenza delle infrastrutture. Facendo una media negli 11 consorzi si appura, sulla base di ciò che attesta la Cia, che si irriga meno della metà del territorio di competenza: appena il 42 per cento.
"Tutte queste spese - dice il segretario regionale della Cia siciliana, Carmelo Gurrieri - affrontate dalla Regione ogni anno, che ammontano a 120 milioni di euro, non bastano ad evitare la sete all'agricoltura siciliana, dove sono saltate campagne di produzione e le coltivazioni arboree sono allo stremo". "Siamo in presenza di strutture assolutamente incapaci di mettere in campo uno straccio di programmazione" attacca il segretario provinciale di Palermo della stessa confederazione, Totò Inghilleri.
Poi c'è lo scandalo del consorzio di bonifica di Catania dove la Procura della Corte dei Conti ha aperto un'inchiesta su presunte assunzioni e consulenze clientelari tale da creare gravi ripercussioni finanziarie: "Ancora una volta - commenta il presidente della commissione alle Attività produttive all'Ars, Salvino Caputo - ci troviamo di fronte all'ennesimo scandalo che vede come protagonisti i responsabili di importanti enti pubblici che sfuggono al controllo della Regione e che trasformano strutture a servizio dell'agricoltura in carrozzoni clientelari. Abbiamo chiesto al commissario di comunicare i criteri delle assunzioni e gli eventuali collegamenti con esponenti politici o partiti e all'assessore alle Politiche Agricole se ha svolto i necessari compiti di controllo e vigilanza sul consorzio di bonifica". Danni all'Erario per complessivi 70 milioni di euro e 13 persone segnalate alla magistratura contabile: è il bilancio di un'indagine amministrativa della guardia di finanza di Catania sul Consorzio di bonifica etneo, il cui rapporto è stato inviato alla Corte dei conti.
C'è spazio anche per un primato assoluto in negativo: nel 2009 ci sono state due intere aree della provincia di Palermo, Polizzi Generosa e San Giuseppe Jato, che non hanno ricevuto un solo goccio d'acqua nei loro circa ottomila (80 chilometri quadrati) ettari di terreno coltivati. Colpa della fatiscenza delle reti idriche. E di quella dei soliti parassiti della casta.
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