Al netto dei pasticci, delle questioni di opportunità, delle Boccia e degli Spano, c'è qualcosa che non torna. Ed è troppo facile fermare lo sguardo sul dito senza arrivare alla Luna. Perché, siamo chiari, frequentazioni ambigue, messaggi che dovrebbero rimanere per sempre nel chiuso delle memorie dei cellulari e nomine quantomeno inopportune, ci sono sempre stati, e probabilmente continueranno a esserci. In ogni ministero e in ogni governo, di qualsivoglia colore politico.
Dunque è quantomeno strano che nel giro di pochi mesi si sia scatenata una campagna tanto occhiuta quanto violenta contro il ministero della Cultura e i suoi titolari. Una campagna di mostrificazione, come ha detto ieri Alessandro Giuli. Quindi, preso nota di strafalcioni, sbavature e fatali ingenuità, c'è una considerazione inevitabile: chi tocca la cultura si mette nei guai e più la tocca - quindi più fa il suo lavoro - più questi guai si ingigantiscono. Perché la cultura è l'ultimo baluardo della sinistra che diventa matta se gli tocchi le casematte; che scatena tutti i suoi uomini - giornalisti compresi - se vede vacillare quell'egemonia culturale che per anni è germogliata ovunque grazie a una pioggia costante di sussidi di Stato. Mettere mano alla cultura significa scomodare, e inimicarsi, i mammasantissima dell'intellighenzia progressista. E questo governo ha osato nominare direttori di musei, di istituzioni culturali, festival e fondazioni non di sinistra. Non solo: ha anche riveduto e corretto quel flusso enorme di fondi statali per il cinema che da sempre è il bancomat di un mondo molto attiguo all'opposizione.
Di conseguenza il ministero della Cultura è diventato un bersaglio e ogni errore, maiuscolo o microscopico che sia, finisce immediatamente alla ribalta mediatica.Per questo mettere mano alla cultura significa mettersi nei guai. E, a giudicare dalla mole dei guai, sembra che, prima Gennaro Sangiuliano e adesso Alessandro Giuli, abbiano lavorato sodo.
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