È abituato a giocare partite a quattro al tavolo di poker, ma stavolta si ritrova con altri tre candidati come quarto competitore alla segreteria del Pd. Mario Adinolfi, 37enne, blogger, ma anche campione di poker, tiene con altrettanta passione sia alle sfide del tavolo verde, che a quelle del principale partito di opposizione. E racconta così la sua sfida incrociata.
Che gioco si fa, al tavolo del Pd?
«Questa è una partita, non un gioco. Una partita complessa».
Ma lei è davvero un campione di poker?
«Questo è indubbio: sono stato il primo italiano nella storia a sedersi a un final table di un World poker contest...».
Cioè?
«Sono arrivato alla finale del campionato del mondo, con altri cinque concorrenti, e ho vinto 70mila euro».
Un hobby remunerativo...
«Qualcosa di più di un hobby, sono uno dei cinque italiani che gioca nel Full tilt poker team».
E che cosa sarebbe?
«È il Real Madrid del poker mondiale. Nelle ultime World series ho difeso i colori di questa squadra a Las Vegas. Direi che ormai è quasi un lavoro».
Passiamo alla politica: era proprio necessario candidarsi, con il rischio di prendere un eroico un per cento?
«Sì, gioco da outsider. Spero che la squadra che è nata intorno alla mia candidatura possa riservarsi delle soddisfazioni alle primarie con gli elettori».
Cè qualcosa che serve sia nel gioco delle carte che in quello delle primarie?
«Sono molto aggressivo in entrambi i campi. Non ho paura di giocare all in».
Lo traduca per noi profani.
«Vuol dire che quando cè una posta importante al tavolo metti le fiches nel piatto e sai che devi rischiare».
Così sembra che nel Pd ci sia bisogno di gioco dazzardo.
«Le do due risposte. La prima. Già nel 2007 quando Veltroni vinse le primarie, cera bisogno di uno che rischiasse tutto. Purtroppo Walter non lo ha fatto, non si è giocata la carta del rinnovamento e siamo andati ko».
E laltra risposta?
«Il poker, contrariamente a quello che pensano molti, non è un gioco dazzardo, nemmeno per la politica italiana».
E che cosè allora?
«È uno skill game, ovvero un gioco con una posta definita».
Ovvero?
«Se perdi tutto a poker, vuol dire che non sai giocare».
Anche a quello della politica?
«Non cè dubbio».
È contento di come si sta giocando questa partita?
«No, e le spiego perché. Così come quando sono arrivato alla finale mondiale ho giocato in un tavolo da sei, con tutti i migliori campioni che cerano su piazza, così credo che questa finale dovesse essere giocata a un livello adeguato».
Cosa significa?
«Non doveva essere lennesima sfida tra veltroniani e dalemiani con qualche disturbatore come me e Marino, ma bisognava che ci fossero sia la Bonino, che Vendola, ovvero il campione dei radicali e il campione dei comunisti che accettano la sfida del governo».
Sì, non sarà gioco dazzardo, ma a un tavolo così si può perdere di brutto.
«Perché ci sono anche i polli».
E chi è il pollo a questo tavolo?
«Marino mi è molto simpatico, ma politicamente parlando mi sembra un dilettante».
Quindi lei si ritiene un professionista?
«Con un buon risultato posso condizionare questo partito».
Ma a questo tavolo doveva sedere Grillo?
«Ovviamente sì».
Lo dice perché fa gioco di sponda con lui...
«A poker il gioco di sponda non solo è consentito, ma è una piccola arte».
Non mi ha spiegato perché dovevate accettare Grillo.
«Primo perché il gioco sarebbe stato più pulito e democratico. Secondo, perché limpressione che si è data è che lo si voglia tenere fuori perché si ha paura che vinca».
Lei ha una storia popolare: Moro cosa avrebbe fatto con Grillo?
«Lo avrebbe accolto a braccia aperte».
Addirittura?
«Consiglio ai pokeristi del Pd di rileggersi il discorso che il leader della Dc fa ai sessantottini, passato alla storia con il titolo Tempi nuovi si annunciano. Moro aveva abbracciato il Pci per assorbirlo nella democrazia, figuriamoci se si sarebbe fatto spaventare da Grillo».
Vediamo gli avversari: Bersani.
«Temo che vinca. Propugna un partito-chiesa, e non a caso ha evocato limmagine per me terrificante della bocciofila».
Perché terrificante?
«Perché lui lha spiegata così: sono gli altri soci che decidono se si tira a punto o si va a bocciare. La dittatura degli apparati».
E Franceschini?
«Lo considero un amico, ha grandi potenzialità, ma non può giocare al travestimento, con quei brutti video su YouTube e la playlist delle canzonette pop. Avrà un ruolo se accetta di fare il levatore, non se si finge un rinnovatore».
Insomma, lei che è campione di poker nega il diritto al bluff...
«Ma infatti solo i principianti pensano che a poker si bluffa. La migliore dote dei campioni, invece, è il timing. Ovvero capire quandè il momento giusto per puntare le fiches sul tavolo e quando no».
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