Questa intervista ad Antonio Martino ha l’andamento sinfonico corrispondente all’attuale treno di vita dell’ex ministro (Esteri e Difesa) nei governi Berlusconi I, II, III. Raggiunti i 68 anni, ritiratosi dall’università per non pagare più gabelle previdenziali all’avido Tremonti, in disparte nel Pdl di cui è deputato per la quinta volta e detestando le panchine dei giardinetti, Martino si è dato alla musica classica. Su questa passione ritaglia esistenza e interviste.
Quella che segue è così scandita: Andante nostalgico sul tempo che fu; Crescendo polemico con uso di tamburi e mazzuoli sul rotondetto Tremonti che a fine trattamento esce pelle e ossa; Finale accorato.
L’ufficio di Montecitorio del mio ospite è lo specchio della sua anima di siculo-anglosassone, liberale già nel ventre della mamma per influsso del babbo, il grande europeista, Gaetano. La sobrietà è einaudiana: scrittoio, biblioteca, striminzito sofà chippendale, disadatto tanto per seduzioni che pennichelle. Martino a sua volta è semplice e diretto. «Vedo che si fa delle méche grigie», sfotte accennando al leggero sale e pepe sulla mia testa. Per la cronaca, lo spiritosone è tre volte più canuto di me. Lascio perdere e gli do sotto.
Con l’intervista si riaffaccia al Giornale dopo una dozzina d’anni.
«Piacevole ritorno. Vi scrissi il mio primo articolo, dei molti, nel 1976. Quando li rileggo mi rendo conto che non ero stupido, allora».
Erano i tempi di Montanelli.
«Ho la presunzione di credere di avere fatto un buon lavoro. Mi trovai benissimo soprattutto con la condirezione di Federico Orlando che, per altri versi, detesto».
Lei è defilato anche nel Pdl.
«Sono stato defilato: mi hanno rottamato. Non mi ha giovato il mio scarso entusiasmo per le politiche economiche di Tremonti».
Eppure fu lei l’autore del programma economico che permise a Fi di stravincere nel ’94.
«Nel kit del candidato Fi c’erano undici cassette. Nove erano mie. Berlusconi voleva pagarmi per il lavoro. Declinai, dicendo: “Dottore, io a queste idee ci credo”».
Perché il Cav non chiamò lei all’Economia?
«Mea culpa. Berlusconi me l’offrì ma chiesi consiglio al mio maestro, l’economista Milton Friedman, che disse: “Come accademico non puoi accettare compromessi. Da politico, devi”. Scelsi la Farnesina perché non volevo fare mercanteggiamenti in economia. Feci malissimo».
E arrivò Tremonti...
«Sì. Il peggio arrivò nel 2001 quando - con la sciagurata riforma Bassanini - divenne superministro dell’Economia dopo l’accorpamento di Finanze, Bilancio e Tesoro. Finanze e Tesoro sono in rapporto dialettico e non possono stare in mano alla stessa persona».
Che successe?
«Quello che è sotto gli occhi di tutti. Tremonti è il monocrate del governo. Non si muove foglia che lui non voglia. Lui ha l’unico portafoglio, gli altri sono al verde. Anche il premier con lui ha i suoi problemi».
La diminuzione delle tasse è andata farsi friggere.
«Lui pensa che abbassare le aliquote riduca le entrate. Vero il contrario: meno evasori ed economia più vivace che porta soldi all’Erario».
L’arrembaggio estivo allo yacht di Briatore?
«Una vergognosa operazione sudamericana dell’Agenzia delle Entrate. Tanto più che legalmente Briatore aveva ragione».
Le tv al confine svizzero per riprenderci sul presupposto che siamo tutti spalloni?
«È lo stato di polizia di orwelliana memoria».
E dire che il governo si proclama liberale.
«Ci sono quattro tipi di governi. L’ottimo che parla e agisce da liberale: Reagan e Thatcher. Il buono che parla socialista e governa liberale, Blair. Quello che parla e agisce da socialista: Prodi. Mi ripugna, ma è sempre meglio di un governo che parla liberale e agisce socialista».
Tremonti però è stato bravo nella lesina.
«Vero. Anche grazie al cattivo carattere, ha impedito l’espansione della spesa. Ma ha usato la scure e tagliato sia il grasso sia l’osso».
Il ministro, sulla crisi, vede nero, il Cav rosa.
«Chi prevede calamità soffre due volte: quando le pensa e quando si avverano. Se non si prevedono si soffre solo se accadono. Due anni fa, Giulio previde il petrolio a 200 dollari. È ancora sugli 80».
Lei che avrebbe fatto?
«Una radicale riforma fiscale, accompagnata da tagli di spesa».
Il negativo del Cav?
«Eletto per le idee liberali, meno tasse, meno Stato, non ce la sta facendo».
Il buono?
«Con lui siamo approdati nel XXI secolo. Dopo sessant’anni, l’ortodossia catto-comunista è quasi scomparsa».
Il Cav ha un domani?
«Ha un temperamento unico: non molla mai. Ha affrontato attacchi che avrebbero stroncato un toro. Ma è lì, in gran forma».
I liberali del Pdl sono emarginati.
«Ma ne ha portati più Berlusconi in Parlamento che il Pli in tutta la sua storia».
Un liberale come Della Vedova è passato con Fini che considera più liberale del Cav.
«Un caro amico che sbaglia. Che il Fli sia liberale, lo nego assolutamente. Come faccia poi a stare con i Granata e i Bocchino, proprio non so».
Fini?
«Mi ha deluso. Non può da presidente della Camera fondare un partito. Bertinotti lasciò gli incarichi a Rifondazione. Si è completamente squalificato».
L’opposizione è il disastro che si dice?
«Purtroppo per il governo, sì. Non ha leader, non un programma, neanche coesione. Se li avesse, farebbe trottare il governo e il Fli non sarebbe mai nato».
Elezioni anticipate?
«Possibili, anzi probabili. Non auspicabili perché l’esito è incerto».
Vuole che il Cav la ricandidi?
«L’idea dei giardinetti e del cane che bagna il tronco dell’albero, non mi entusiasma».
Se non sarà ricandidato, chi voterà per ripicca?
«Insolente. Mai voterei per ripicca».
Allora?
«Voterò Pdl, se c’è Berlusconi».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.