Io, "dormiglione" sempre alla rincorsa

Chi non ama alzarsi presto è costretto a rincorrere gli altri e a lavorare il triplo per non rimanere indietro. Ora finalmente un neurologo inglese dà ragione ai "vampiri": nelle prime ore del giorno si impara meno

Io, "dormiglione" 
sempre alla rincorsa

Il preside e il neurologo hanno capito tutto. La corriera passava alle sette e trenta, fermata Cappuccini. Era blu, il fumo del gasolio faceva tossire i platani lungo la strada, c’erano zaini, borse, studenti quasi tutti in piedi, gomiti nello stomaco, starnuti, sbadigli e odori vari. Ogni volta che l’autista dell’Acotral frenava, così si chiamava l’azienda pubblica di trasporti, qualcosa simile alla gomma bruciata si mischiava con il latte appena bevuto.

Ogni curva diventava un supplizio. Il problema, comunque, non era questo. Correre. Questo era il primo istinto appena sveglio. Correre. L’orologio che ti stressava. Il tempo accelerato e quel maledetto ritardo, quotidiano, inevitabile, che era il tuo compagno di fuga e di angoscia. Quando la corriera era all’orizzonte cominciava la gara. Duecento metri piani senza quasi respirare. Lo sprint si decideva dopo l’ultima curva. Il trucco era sperare nella lentezza di chi saliva, qualche amico pietoso ti vedeva spuntare e rallentava, e un colpo di reni ti permetteva di salire a bordo. In caso di sconfitta si andava al ripescaggio: l’autostop.

Qualche giorno fa un amico ha visto un ragazzino cimentarsi nella stessa impresa e si è commosso. Bei tempi. Ogni mattina così, solo per stare a scuola più o meno alle otto e mezzo. Non era facile. Tutto questo, la sveglia, il ritardo, la corsa, l’arrivo in classe, le prime ore di lezione, avveniva in uno stato di dormiveglia, una sorta di limbo dai confini incerti. C’eri e non c’eri. Uno zombie. Il tuo sguardo sul mondo era appannato da una nebbia soporifera. La voce arrivava in leggero ritardo rispetto alle immagini, come succede a volte nelle trasmissioni via satellite. Le parole ti rimbombavano in testa, con un’eco ridondante: buoooooongioorno, coooooome vaaavaavaavaaa. Odio. Fastidio. Un’antipatia feroce per tutti quelli con i bioritmi giusti, quelli già con il motore acceso all’alba. E tuo padre che predicava: non farai mai fortuna se non sei mattiniero.

Poi verso le dieci, tu, vedevi il sole. Cominciava la lunga rincorsa al popolo dei «presto in piedi». L’unica risorsa dei «vampiri» è la velocità, concentrare il più possibile ogni attività umana, fare due, tre, quattro cose insieme, rubando in questo modo minuti a chi ti sta davanti. Una volta sveglio devi diventare una molla, lavorare in polifonia, dividere il tuo cervello in diverse tracce di ascolto e registrazione, in modo da ricevere più stimoli contemporaneamente. Nessun problema a leggere, guardare la televisione e parlare con tre persone nello stesso istante. Tutto questo sapendo che il tuo picco di attenzione arriverà comunque verso le otto di sera. La notte, quando gli altri dormono, tu sei il signore del tempo. È lì, in controtendenza rispetto al mondo, che rubi le ore perdute.

Il preside inglese Paul Kelley e il professor Russel Foster, docente di neurologia a Oxford, scrivono quello che l’altra metà dell’orologio sospetta da sempre: c’è molta gente che la mattina presto impara di meno. Dicono che la sonnolenza mattutina sia figlia di un ormone. È la scienza, bellezza. E noi non possiamo farci nulla. Mille giorni di sensi di colpa spazzati via. Quel destino che ti faceva fare promesse, e scongiuri, causa di litigi e incomprensioni, ha trovato la sua redenzione. Non sei tu fuori corso, ma il tuo ormone. Non sei tu sbagliato, ma lui. Non è il tuo senso del dovere che latita, ma il suo, soltanto il suo. Tu sei salvo. Ditelo a tutti quelli che hanno a che fare con voi. Quando il preside e il neurologo si battono per far suonare la prima campanella alle 11 ti brillano gli occhi. Questa è la tua rivoluzione. Molti professori in fondo lo sanno: molti ragazzi cominciano a ragionare solo dopo l’intervallo di metà mattina. Nel pomeriggio - dice lo studio del professor Foster - le capacità di apprendimento crescono del 9 per cento. Viene quasi voglia di dire: a scuola solo di notte.

E gli altri? Pazienza. Ora tocca a loro combattere un po’ con il sonno (e sentirsi in colpa). È vero, sarebbe una rivoluzione, sballerebbe tutti i ritmi dei non vampiri, mamme costrette ad accompagnare i figli in classe quando escono dal lavoro. È il mondo alla rovescia. È il popolo della notte che vince la battaglia eterna dell’orologio. È la ribellione culturale di gufi, barbagianni e usignoli contro l’istinto gregario delle allodole. Qualcuno, in fondo, c’è riuscito. C’era un medico nel tuo paese che cominciava le visite alle 10 di sera. Era bravo. I suoi pazienti conoscevano le regole, e la stravaganza. Si adeguarono. Tutti in fila dopo Carosello. L’infermiera diceva: il dottore la mattina dorme. C’è solo per le urgenze. La verità è che esistono due popoli e non dovrebbero mischiarsi mai. Niente amore, niente affari, nessuna famiglia. L’unione «multitemporale» non funziona. Si trasforma in una maledizione.

Vi ricordate Ladyhawke? Un vescovo-stregone condanna due amanti ad una vita infelice, senza la possibilità di incontro: di giorno lei sarà uno splendido falco, di

notte lui sarà un feroce lupo grigio. Una notte senza il giorno, un giorno senza la notte. È destino, o maleficio. O è solo distanza. Quelli della notte stanno su un altro fuso orario. È come vivere sempre in Australia.

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