Io, Enzo Tortora, confesso: il mio reato è l'antipatia

Caro direttore,
... condannato recentemente, con rito napoletano, a dieci anni di galera (ne ho già degustato tredici mesi senza avere fatto nulla; li considero solo un aperitivo per reati folli, mai provati e inesistenti ma infamanti), ecco che un cronista torinese, a caccia di commenti alla sentenza, avvicina al parco pubblico una coppia di pensionati, che, richiesti di un parere, esalano una granitica certezza: «Giustissima. A noi quell'uomo è sempre stato antipatico». La fatale parola, dunque, ritorna. (...) «Qualcosina l'avrà fatta... » ridacchiano i più benevoli. Mi rendo conto perfettamente: si è «simpatici» secondo un certo metro e non bisogna, diamine, essere così «rigidi» nella difesa di se stessi. Qualcosina bisognerà pur concedere, via..., ormai la giustizia ci ha divisi tra irriducibili e pentiti. Un galantuomo non è più un galantuomo, è un «irriducibile» che secondo Marmo dovrebbe per dignità decidersi a confessare.
Un giudice napoletano, il cui ricordo mi dà la nausea, comparve con fare dolciastro, e insinuante mi disse: «Ma lo ammetta, lo ammetta pure, non è reato, che faceva uso di stupefacenti... ». Provo vergogna per lui, non per me. Provo vergogna per questa morale immorale, accomodante e vile, provo disperazione per un paese dove l'innocenza, dico innocenza assoluta, totale, inattaccabile, deve farsi strada con tanto strazio e tanta pena. Provo pietà per tutti gli onesti, e in Italia ce ne sono ancora, costretti quasi a vergognarsi della loro onestà, dinanzi a tanto scempio di giustizia e diritto. Lo ammetto non sono «simpatico». Non come Melluso (e provo un brivido nel pronunciarne il nome) cui il dottor Marmo, nei giorni del processo, diceva commosso rivolto al presidente: «E facimmulo sposà, stu guaglione...». Ed eccoli sulla rivista Oggi, in esclusiva pagata fior di milioni i Renzo e Lucia, i veri promessi sposi in edizione riveduta e corretta. Li ha sposati il Don Abbondio che è annidato in cert'Italia; il Don Abbondio contro il quale combatterò, come ho sempre combattuto, fin che avrò fiato, vita, forza. A chi ha detto «la politica fuori dal processo», va però replicato e duramente: c'è politica e politica innanzitutto.

E la nostra, quella radicale, non è nemmeno solo politica, politica e politica giudiziaria infame è la loro. La nostra è igiene sociale. È amore, passione di civiltà. È civiltà contro l'imbarbarimento di questo nostro Paese.
Enzo Tortora
22 settembre 1985

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