«Io, Jean Gabin»: il testamento di un'attrice con l'hobby della penna

Uscito postumo il volume in cui Goliarda Sapienza rievoca la sua casa d'origine, la sua città e la sua passione più importante: il cinema. Una storia ambientata negli anni Venti con il fascismo sullo sfondo delle fatiche di una famiglia di socialisti convinti

Il mito di Jean Gabin e la Sicilia. La Sicilia profonda di una ragazzina che apre gli occhi su una società con una mentalità ancora fortemente radicata nel passato. Quella bambina è Goliarda Sapienza, scrittrice e attrice, morta a 72 anni, nel 1996, che, in teatro e al cinema recitò con Luchino Visconti, Alessandro Blasetti e Citto Maselli. «Io, Jean Gabin» (Einaudi, pp.124, 17 euro) è un romanzo postumo nel quale la protagonista, che è la stessa autrice, rievoca il tessuto sociale nel quale è nata ed è stata educata. Emerge così uno spaccato della Catania anni Venti dove una ragazzina pensava a spendere il proprio tempo e i soldini, che riusciva a guadagnare attraverso piccoli lavoretti, andando al cinema. E nella buia sala del Mirone, trascorreva le proprie ore a guardare, e spesso riguardare, i film di Jean Gabin, il suo mito. Il suo attore preferito. Una fuga dalle persecuzioni fasciste e repressive.
La piccola Goliarda era nata in una sfortunata famiglia che aveva già perso un figlio e doveva fare i conti con la propria fede socialista che mal si conciliava con un contesto politico tinteggiato del nero fascista. Eppure, l'autrice ci mostra attraverso gli occhi della piccola Goliarda, il profilo di zii e parenti, di papà e mamma, di fratelli e sorelle, di amici e conoscenti. La Civita, insomma, quella che pulsa intorno a una vita fatta di sofferenze, popolata di ladri e prostitute, di gente che soffre la propria indigenza, che cerca di intuire su cosa puntare per riscattarsi, per uscire dalla magmatica povertà in cui si agita e dalla quale sembra che una via d'uscita non esista.
C'è un papà, apprezzato avvocato, amico dei poveri e odiato dai gerarchi. C'è una mamma che protegge la piccola Goliarda, ma cerca di stuzzicarne la forza della dignità e il desiderio di sapersi far rispettare. Ci sono fratelli e sorelle, ma c'è soprattutto lui, Jean Gabin, ritratto in copertina in un fotogramma del film di Jean Renoir «La bête humain» del 1938. E la Catania della Civita assomiglia terribilmente a certi quartieri di Algeri dove si aggira proprio Jean Gabin. E riemergono echi di Pepè Le Moko e tratti di quel volto serio che campeggia sul grande schermo del Mirone.
Il romanzo di Goliarda Sapienza uscito dunque in queste settimane è un inedito nobile, rimasto nel cassetto a lungo. Fu iniziato nel '79 ma non vide mai la luce. Ideale seguito di «Lettera aperta», pubblicato nel 1967, questo ultimo romanzo che sembra un testamento della scrittrice rappresenta il coronamento di un sogno, parlare della propria famiglia, scrivere di sé. E metterci tutta la passione possibile. E tutte le passioni possibili.

Come il cinema, ad esempio, che tanta parte aveva avuto nella formazione, nella cultura e nella professione di Goliarda Sapienza, un'autrice che in vita ci ha regalato quattro titoli importanti («Lettera aperta», «Il filo di mezzogiorno», «L'università di Rebibbia» e «Le certezze del dubbio») e dopo la sua morte dai suoi cassetti è spuntato il suo lavora forse più apprezzato, «L'arte della gioia», i racconti di «Destino coatto» e ora questo «Io Jean Gabin» che costituisce forse l'ultimo atto della sua penna.

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