Dallalba al tramonto per settimane sono stato pedinato da pattuglie della Guardia di Finanza. Undici finanzieri per seguirmi e fotografare ogni passo, incontro, respiro, cose umane e banali come lacquisto di una pizza o la consegna di un abito in tintoria, hanno noleggiato nove automobili, motociclette, fotocamere digitali, per mesi cellulari e schede telefoniche. Mi rassereno.
In Italia la giustizia quando vuole funziona, una macchina perfetta che stringe sullindagato, gli toglie fiato, rovista in ogni angolo della propria vita privata. Meno male. Se un giornalista pubblica «Allora Gianni siamo padroni di una banca?», se pubblica le intercettazioni telefoniche tra lallora segretario dei Ds Piero Fassino e Gianni Consorte sulla scalata a Bnl, come ho fatto nel gennaio del 2006 su Il Giornale allora diretto da Maurizio Belpietro, linchiesta per capire chi ha passato le conversazioni si fa affilata, la bilancia della giustizia perde la tara, il cronista pare uomo di mafia. Presa la fotografia della moglie, identificata e sentita la suocera, genitori, cognati persino losteopata di fiducia che cura le nostre schiene e la bionda Mathilda, che non è unaffascinante 007 straniero ma il mio labrador, pronto a confessare qualsiasi reato per un biscottino.
Se pubblichi le conversazioni Fassino/Consorte sei un delinquente accusato di chissà cosa e non un cronista indagato di concorso in violazione del segreto istruttorio per aver fatto conoscere conversazioni che nel gennaio 2006 aprirono una nuova questione morale nella sinistra.
Ti alzi la mattina e ti seguono in redazione, in Tribunale fino alla stanza del procuratore capo, origliano le tue conversazioni con i pubblici ministeri, si infilano al bar con te perché chissà magari qualcuno ti passa qualcosa. Se vai a un matrimonio sono lì, controllando persino i locali vicino perché magari lo scambio danelli era tutto unescamotage per incontrare la fonte. Se la sera vai al ristorante «Dal Bolognese» in piazza Repubblica a Milano nei giorni subito dopo lo scoop, che vuol dire mettersi nellacquario-vetrina della città senza nulla nascondere, pedinano il tuo ospite di tavolo. Quando poi esci dal locale i verbali rasentano linvolontario umorismo: visto che «i militari operanti sono stati impossibilitati ad utilizzare la macchina fotografica in loro possesso per ritrarre luomo con cui lindagato si è trattenuto. In particolare la tenue luce presente allesterno del ristorante avrebbe necessariamente obbligato i militari allutilizzo del flash, circostanza questultima che avrebbe potuto insospettire il Nuzzi e quindi pregiudicare il buon esito del servizio».
È vero lo ammetto mi sarei sorpreso sotto colpi di flash allimbrunire della sera. Allora che fare? Come identificare lignaro e ignoto uomo al mio tavolo? I pedinatori si fanno dare dalla polizia municipale della stazione Centrale i filmati delle telecamere delle piazze antistanti per dargli un volto. Invano. Vanno da Giuseppe A., il portiere dellalbergo dove il mio amico era andato a riposare, non abitando a Milano. Ma anche qui non ne cavano niente. Nemmeno dalla lista fotocopiata del registro delle presenze dellhotel. Chi sarà? Solo dopo giorni di incroci tra tabulati e quantaltro scopriranno che il signore è un commercialista di Bologna. E allora? Si potrà cenare con un professionista che fa il consulente delle procure di Parma e Palermo?
Insomma, a seguire un giornalista che delinquente non è, ci vuol infatti fortuna e fantasia. Perché non avendo nulla da nascondere è difficile pizzicarlo con le mani sul verbale. Magari è più facile trovarlo goloso con le mani su coltello e forchetta per la pasta al forno contenuta nella «busta», che tanto aveva incuriosito gli investigatori e con la quale ero uscito da un ristorante una sera. Così nel gennaio del 2006 i miei angeli custodi mi accompagnavano ovunque. Le auto prese a noleggio hanno macinato quasi 500 chilometri come si legge tra le fatture per migliaia di euro pagate dalla procura per questinchiesta, le telecamere mi hanno immortalato a pericolose presentazioni di libri o perso negli aeroporti come a Malpensa quando sono dovuti ricorrere a quelle interne dello scalo pur di capire dove fossi finito. Mi stavo imbarcando per andare in Lussemburgo dove Consorte aveva dei conti esteri. Conti sui quali venne parcheggiata una somma enorme versata dallimprenditore Chicco Gnutti. Qualcuno mormorò che si trattava di una tangente per la sinistra, ma si trattava di malignità, cattiverie come appurò unaltra inchiesta. Appunto, unaltra.
Ora tutti questi accertamenti, migliaia di fogli e tabulati hanno convinto la procura a chiedere larchiviazione ma il gip Micaela Serena Curami non ha voluto sentirci. Dice che bisogna processarmi anche senza sapere chi mi ha dato quelle intercettazioni. Così il Pm Stefano Civardi formulerà unimputazione coatta. «Se il Giudice ritiene veramente assai difficile non vedere nella sequenza dei fatti, un accordo tra il giornalista e il pubblico ufficiale autore della rivelazione, - cerca di spiegarmi lavvocato Salvatore Lo Giudice - la difesa continua a ritenere, alla stregua delle conclusioni e della conseguente richiesta di archiviazione del Pm, linesistenza di elementi per sostenere laccusa in giudizio. Come lo stesso giudice ha ricordato, a differenza di altre fattispecie (es. rivelazione di segreti di Stato), il legislatore ha scelto di prevedere la punizione del soggetto qualificato che rivela la notizia coperta da segreto e non anche del soggetto che riceve la notizia.
Ma caro avvocato, io nella giustizia continuo a crederci. Anzi, a sperarci.
gianluigi.nuzzi@mondadori.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.