!["Io alla Scala con i Philharmoniker per diffondere il senso dell'opera"](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2025/02/08/1738999571-muti.jpg?_=1738999571)
Con il direttore d'orchestra Riccardo Muti noi giornalisti siamo sollevati dal compito di redarre introduzioni e ritratti. È tra gli Italiani più popolari al mondo. Punto. Solo informiamo che è atteso al Teatro alla Scala il 25 febbraio, con Schubert e Bruckner, alla testa dei Wiener Philharmoniker, a loro volta la Ferrari o Lamborghini o Pagani (de gustibus) del settore. Curiosità: da 55 anni Muti sale ininterrottamente - mai saltato un anno - sul podio dei Wiener, per un totale di 500 concerti. «L'Austria mi ha dato tutto», commenta ricordando l'Alta Onorificenza in Oro, ma anche l'anello d'onore a sigillo del matrimonio coi Wiener, e fa un certo effetto sapendoli scapoloni impenitenti nel senso che da decenni non hanno un direttore musicale. È poi membro onorario della Società dei Concerti, «mi impressiona leggere il mio nome accanto a quello di Brahms e Verdi. Mi fa vergognare».
Al concerto di Capodanno da Vienna ha parlato al pubblico austriaco, e ai 50 milioni di spettatori, in italiano. Com'è che è successo?
«Mi è venuto spontaneo. Non preparo mai i discorsi, per questo quando apro bocca, le persone che mi conoscono tremano. È stato un naturale grido dall'Italia, ho sentito che quelle parole dovevano essere scandite nella mia lingua. Ne hanno scritto un po' tutti, in quel momento la nostra lingua è diventata universale».
Dopo l'arrabbiatura in Senato per i cellulari che squillavano al concerto di Natale, ora sappiamo che «stutate» vuol dire «spegnete».
«Ho poi letto con curiosità i vari saggi sull'espressione, dal latino, greco. Mancava solo che scomodassero l'Accademia della Crusca».
Il 2 maggio dirige i Berliner al PalaDozza di Bologna, cinquemila posti a sedere, ed erano 12mila gli spettatori all'Arena di Verona per la serata dell'opera patrimonio Unesco. Fanno effetto le platee così ampie?
«Non cambia dirigere di fronte a due o a 60 milioni di persone, il compito artistico e morale è lo stesso. È chiaro che l'esecuzione deve tener conto di spazi così enormi, non siamo al Musikverein o alla Carnegie Hall. Conta il fatto che migliaia di persone sentano la necessità di abbeverarsi alla fonte della musica, fatto importante nel mondo tragico in cui viviamo. La musica è una delle cose che possono ancora salvare il senso della Bellezza ed Armonia nel mondo. Sa cosa disse Cassiodoro?».
Che la vita non è tale senza la musica.
«Più esattamente, Se continuerete a crogiolarvi nelle ingiustizie, Dio vi punirà. Come? Togliendovi la musica. Me l'ha ricordato il cardinale Gianfranco Ravasi».
Quando sale su quel podio dei Wiener, come si sente?
«Sento che iniziai con loro che ero un ragazzo di 30 anni e c'erano musicisti che avevano suonato con Toscanini e Furtwängler. In questi 55 anni sono passate generazioni e ora sono io il padre. I Wiener sono attenti a mantenere il proprio suono, fraseggio e concetto musicale, segno della loro cultura musicale».
Perché oggi le orchestre tendono ad assomigliarsi.
«È un po' colpa del disco che ha creato l'idea di un suono ideale. I Wiener sanno che i custodi del loro suono sono morti quindi sono preoccupati di avere un legame con quelli che li aiutano ad essere loro stessi, io mi sono abbeverato alla loro fonte in passato e per questo oggi si aspettano che restituisca ciò di cui hanno bisogno».
Il senso della sua Academy (master sull'opera italiana) è un po' questo, proteggere e diffondere il dna dell'opera italiana.
«Ma finisco sempre per sbattere contro un muro. Perché si fanno edizioni critiche di Verdi e articoli musicologici. Poi vai nei teatri e senti ancora il solito zumpapà, il Vincerò di tre ore. Usi e costumi del repertorio italiano solleticamento gli istinti più tribali, cosa che non accade con Mozart, Wagner o Strauss. Quando si fa Bellini, Donizetti o Verdi l'urlo è di casa».
Ma lei lotta.
«E spero che altri continueranno a fare questa lotta, e non per punire il godimento del canto ma per punire l'oltraggio alla frase nobile. Rigoletto, per dire, è opera senza fermate, invece ci si ferma per l'urlo della vendetta, per la Donna è mobile».
Altra lotta: vuole che le spoglie di Cherubini tornino nella sua città, Firenze.
«Ho parlato con presidenti e ministri, ma non si riesce. A un certo punto da Parigi dissero che bisogna avere il consenso dei parenti».
Non è facile risalire.
«Ma no. Firenze è piena di Cherubini. Anche Jovanotti è Cherubini, chiederemo a lui».
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