Iran in marcia verso il Medioveo: adulteri condannati alla lapidazione

Sono un uomo e otto donne, che avrebbero subito in realtà sopraffazioni e violenze. I condannati sono quasi analfabeti. E il Parlamento vuole introdurre il reato di stregoneria e l’accecamento

Iran in marcia verso il Medioveo: 
adulteri condannati alla lapidazione

Una delle donne non ha neppure capito di cosa l’accusavano. Tutte le altre non sono riuscite né a spiegarsi, né a difendersi. E nessuno dei nove condannati è arrivato in tribunale accompagnato da un legale di fiducia. Ora il loro destino è segnato. Sono un uomo e otto donne e se nessuno muoverà un dito per salvarli moriranno lapidati. I loro casi non sono assolutamente collegati, ma il comune destino è la conseguenza di un’unica accusa chiamata adulterio. Di fronte a quel crimine punibile con la terribile pena prescritta dall’articolo 83 del codice penale iraniano tutti i magistrati applicavano, fino a qualche tempo fa, una discreta e ufficiosa moratoria. Ma il dilagante clima di fondamentalismo ha cancellato la silenziosa convenzione e la raffica di condanne comminate ai quattro angoli del Paese rischia di riportare in piazza l’orrore. Ma qualcuno è pronto a fare di peggio. Mentre un gruppo di coraggiosi avvocati iraniani cerca di bloccare quelle nove condanne il Parlamento di Teheran discute un pacchetto di proposte di legge studiate per introdurre nuovi reati e nuove crudeli forme di punizione. Alcuni deputati ultraconservatori pretendono di estendere l’utilizzo delle amputazioni aggiungendovi pure l’accecamento. La maggioranza dell’assemblea è pronta ad approvare la pena capitale per i convertiti al cristianesimo o ad altre religioni. Una commissione esamina la reintroduzione del reato di stregoneria da punire, ça va sans dire, con la morte. Si studia una legge per mandare al patibolo chi usa internet per «corrompere la nazione».
In questo clima strappare un briciolo di pietà per i nove condannati non è facile. Anche gli appelli indirizzati all’ayatollah Mahmoud Hashemi, il capo del potere giudiziario a cui spetta la sospensione e la revisione di una sentenza, potrebbero rivelarsi vani. Mesi fa un giudice ha ignorato un suo ordine facendo svolgere l’esecuzione di una condanna a morte sospesa per decreto dall’ayatollah.

Il destino dei nove condannati, appartenenti alle minoranze azere, arabe e curde, è anche legato alle loro origini. «Tutte le otto donne sono pressoché analfabete, non sanno a cosa serva un legale e non hanno i soldi per pagarlo - denuncia Shadi Sadr, una combattiva avvocatessa che da anni lotta per bloccare la barbarie della lapidazione -. Alcune di quelle donne non parlano neppure il farsi, ma negli interrogatori ovviamente in lingua ufficiale nessuno traduceva per loro», ricorda la Sadr.

Tutte le condannate, a dar retta all’avvocato, sono arrivate in tribunale dopo aver subito abusi sessuali e aver cercato di sottrarsi al ruolo di mogli-schiave. «Queste donne – spiega la Sadr - hanno subito violenza, sono state costrette ad accettare matrimoni combinati o si son viste bloccare la richiesta di divorzio». La curda Kobra Najar è stata trascinata davanti ai giudici dopo aver ottenuto il divorzio dal marito che la costringeva a prostituirsi e non aveva esitato a mettere sul marciapiede anche le sue figlie.

Shamame Qorbani, un’altra delle condannate, sostiene di essere stata violentata, ma le autorità seguendo i suggerimenti della famiglia non avrebbero dato retta alla sua versione dei fatti archiviando il suo caso con una sentenza di comprovato adulterio. E neppure Shamame, come le altre condannate, ha potuto presentare testimoni o farsi difendere da un avvocato.

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