A partire da stasera, per due giorni gli ebrei festeggiano il nuovo anno, il 5769° del calendario biblico. Nonostante lo scambio degli auguri e il fatto che in Israele i due giorni sono ormai diventati giorni di giorni di vacanza fuori casa per una larga parte della popolazione, per gli osservanti della tradizione la ricorrenza non è festiva ma l’inizio di 10 giorni di introspezione e confessione dei peccati culminante nel digiuno del Kippur quel «giorno del perdono» in cui il tribunale celeste conferma le sorti di tutti gli esseri viventi per i prossimi 12 mesi: chi vivrà, chi morirà, chi avrà pace, fortuna e chi no.
È anche l’occasione per passare dal privato al collettivo e per i politici sottomettersi al giudizio dell’opinione pubblica a cominciare dal premier dimissionario Olmert il quale forte della prassi locale continua ad agire con pieni poteri. Questi potrebbero estendersi a sei mesi se il nuovo leader del partito Kadima Zipi Livni non riuscisse a formare un nuovo esecutivo e l’elettorato fosse chiamato a elezioni anticipate. Le sfide che Israele ha dovuto affrontare nell’anno che finisce sono state grandi: la minaccia atomica iraniana e il rifiuto americano di autorizzare una operazione preventiva contro di essa; l’impasse nei negoziati coi palestinesi, i rapporti ambivalenti con la Siria e gli Hezbollah del Libano che hanno ottenuto uno scambio leonino di loro prigionieri contro cadaveri di militari israeliani; il risveglio del nazionalismo arabo in Israele e la radicalizzazione del movimento dei coloni decisi a difendere la loro presenza nelle zone occupate anche contro l’esercito e i loro concittadini difensori della pace con uno Stato palestinese. Queste sfide hanno appannato i successi dei 12 mesi passati, la celebrazione del 60° anniversario della creazione dello Stato, il continuato sviluppo economico, tecnologico e scientifico; la riforma delle forze armate e della difesa civile dopo la mancata vittoria nella seconda guerra del Libano; la cessazione dei bombardamenti missilistici da parte dei palestinesi di Gaza; la riuscita operazione militare e politica contro l'erigenda base nucleare siriana; l’elevazione del livello dei rapporti con la Comunità europea, il miglioramento dei rapporti con l’Egitto più impegnato nella lotta contro il contrabbando di armi dall’Egitto a Gaza, la riduzione dell’80% degli attacchi terroristici, l’impegno di ambo i candidati alla Casa Bianca e dei governi di Francia, Inghilterra, Italia e Germania alla difesa e allo sviluppo economico dello Stato.
Tutto questo non ha però inciso sullo sconforto di una vibrante democrazia che dopo 60 anni vede ancora il suo diritto all’esistenza contestato, i suoi confini e la sua capitale non internazionalmente e la sua identità nazionale indebolita.
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