Da sempre, per capire chi è Ivano Fossati basta la voce. Uno con la sua
voce - quando canta, quando parla - non tradisce.
Non tradisce nemmeno stavolta, anzi. Il Fossati che parla di Musica
moderna - il suo nuovo disco che arriva dopo tre anni, il primo su
etichetta Capitol-Emi - ha la voce calda di sempre. Ma è una voce che
sorride. Una voce che parla d’amore.
Ivano, lei ha scritto un album di canzoni d’amore. Nel mondo succede di
tutto e lei parla d’amore, confezionando quasi un concept album con al
centro i sentimenti.
Come
le viene?
«È vero che questo è un disco che parla molto d’amore. Ma non è stata
una scelta progettuale, le canzoni sono uscite così, man mano».
Segno della volontà di fuggire da temi impegnati? Lei spesso ha scritto
parole di carta vetrata, non romanticherie.
«Ripeto, sono nate così. Però penso che la particolarità di questo
disco sia quella di contenere vere canzoni d’amore, che però hanno
anche un punto di vista un po’ spostato. Che raccontano anche altro.
Penso, ad esempio, a Last minute, dove un uomo d’affari sogna casa sua
dagli alberghi e dagli aeroporti del Sud-Est asiatico. O D’amore non
parliamo più che è una canzone sui ricordi».
Canzone splendida, peraltro. Eppure, a tratti spiazza un Fossati così
sereno, soprattutto se si pensa alle mazzate verbali che uscivano da
altri dischi. Penso, ad esempio, a La disciplina della terra, ogni
parola una sentenza. Cosa è successo?
«Quella era una maniera di scrivere e di intendere che andava bene
allora, oggi uso un altro linguaggio. Ogni periodo ha un suo
linguaggio».
Fossati come Picasso? A che periodo siamo ora, al blu, quello
intimistico?
Addirittura
il sottotitolo di una canzone è La rivoluzione è nel cuore. Cos’è? Un
manifesto?
«Quella è una canzone leggera, che racconta di un giovane operaio che
incontra la sua miss America, una collega, e inizia ad avere il tumulto
nel cuore. Un personaggio tenero, buffo. Il manifesto della rivoluzione
nel cuore è un manifesto di ironia».
Ironia che scompare quando lei, nel Paese dei testimoni, attacca
delazioni e delatori, false testimonianze e spioni, i media che
guardano dal buco della serratura. Le fa paura tutto questo?
«Mi fa paura la distorsione, l’uso delle parole altrui, il montaggio e
lo smontaggio dei discorsi grazie alle tecnologie. C’è il costante
pericolo di vedersi manipolati, di vedersi cambiare le parole, un
aggettivo con un sostantivo, un “non” che appare o scompare».
Male non fare, paura non avere. Non basta? Non basta l’amore, che
stavolta è anche amor proprio?
«La facilità con cui la tecnologia digitale permette molte di queste
operazioni spinge noi tutti a cambiare i comportamenti, si cede
terreno. Cambiamo noi».
Gliela diamo vinta, chiunque siano «loro»?
«Certo, ci troviamo di fronte a un problema di cui non tutti hanno la
percezione completa».
Un po’ come La guerra dell’acqua. Come le è venuto di cantare
dell’incetta delle risorse idriche, deviando dalle canzoni d’amore?
«È un problema che l’Italia tende a rimuovere. Ma già in Francia, senza
isterismi, se ne dibatte seriamente. Capisco le altre priorità, ma
questo problema planetario non può essere rimosso».
Nel disco c’è anche L’amore trasparente, che era la canzone
portante della colonna sonora di Caos calmo con cui lei ha vinto il
David di Donatello e il Nastro d’argento 2008.
«Mi ha chiamato, chiedendomela, Domenico Procacci, il produttore. L’ho
scritta con molto entusiasmo proprio perché era una canzone, non una
colonna sonora, cosa che avevo già fatto».
Dal disco, dalla sua voce, esce un Fossati sereno, felice.
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