Jobs: suicidi in fabbrica? Ma se hanno la piscina!

Il presidente di Apple preoccupato per le morti da stress nell’azienda cinese dove si producono migliaia di iPhone e iPad. Nella Foxconn in un anno si sono tolti la vita tredici lavoratori

Jobs: suicidi in fabbrica? 
Ma se hanno la piscina!

Un iPhone costa in media 500 euro. Ma chi lo produce, per poterselo comperare, deve lavorare almeno cinque mesi. Questo è il triste rapporto tra lo stipendio degli 800mila dipendenti della Foxconn, il maggior produttore al mondo di prodotti tecnologici per conto terzi, e uno dei tanti gadget hardware che vengono sfornati a ritmi serrati nelle sue fabbriche al sud della Cina e precisamente a Foshan vicino a Shenzhen. Ma da quando nelle fabbriche Foxconn, che fanno capo al magnate taiwanese Terry Gou, sono esplosi i casi dei suicidi a raffica, 13 in un anno e tre nella stessa settimana, i giganti statunitensi e nipponici che producono a basso prezzo nella fabbriche cinesi si sono fatti cauti. Va bene il profitto ma un po’ di etica non guasta. Anche perchè basta che sul web parta qualche iniziativa di boicottaggio dei prodotti per far restare negli scaffali migliaia di iPhone e iPad ma anche di computer Dell, Hp e Sony tanto per citare qualcuno dei blasonati clienti di Foxconn.
Sarà forse anche per questo motivo che Steve Jobs, presidente e fondatore di Apple, ha spezzato una lancia in favore della Foxconn. «Non è una fabbrica di schiavi, anzi è molto carina. Non produce dolciumi, ma hanno anche ristoranti e piscine», ha detto Jobs al limite della gaffe. Poi per precauzione ha aggiunto che si tratta comunque di una situazione difficile. «In questo momento - ha proseguito - stiamo cercando di capire, prima di affrontare direttamente il problema e dire che abbiamo trovato la soluzione». Per Foxconn il vero problema, oltre ai bassi salari, sta nel ritmo serrato di produzione e nelle ore di lavoro. Una media di 12 al giorno passate ad assemblare telefoni cellulari o computer. «In questo modo - ha spiegato un operaio - pensi che la tua vita non conta nulla e cadi in depressione. Oltretutto con soli 100 euro al mese di salario non si riescono a mandare soldi a casa». Un fatto importante dato che la maggior parte dei dipendenti Foxconn proviene dalle province più povere della Cina. «Si tratta per lo più di giovani che però sono diversi dai loro padri - ha spiegato Ross Gan direttore della comunicazione di Huawei uno dei maggiori produttori di apparati di tlc del mondo -. Sono persone che non hanno mai sofferto la fame e vogliono avere delle prospettive di vita».
E dunque non basta più il campus allestito da Foxconn dove c’è un ospedale e anche una piscina ed è possibile mangiare e dormire in camerate da 8 o magari anche 10 persone. Se ai padri tutto questo poteva sembrare un lusso i giovani operai cinesi, l’età media è 25 anni, si sentono invece in prigione. Vogliono avere una vita privata al di fuori delle alte mura della fabbrica. Del resto Shenzhen, dove è vietato girare in motorino a causa dei frequenti scippi, è comunque una città vera con hotel e ristoranti di lusso. E anche un incredibile centro massaggi con piscina, idromassaggio e ristorante aperto 24 ore al giorno. Shenzhen insomma non dorme mai ma per avere tutto questo servono soldi. Lo ha capito anche la Foxconn che ha già annunciato un aumento dei salari di circa il 30%. Ma dato che la paga media è di 900 yuan (ossia 108 euro al mese) l’aumento è ancora troppo basso rispetto a quanto sarebbe necessario per avere una gratificazione minima.
Secondo Geoffrey Crothall, uno dei curatori del China Labour Bulletin di Hong Kong, «a Shenzhen un salario minimo di 2.000 yuan (che poi sono circa 220 euro ndr) è assolutamente necessario». Si tratterebbe dunque di un aumento del 100% che farebbe scattare immediatamente l’inflazione non solo in Cina ma anche in Europa e negli Usa. Eppure il passo appare sempre più necessario. Perchè anche la fabbrica dell’Honda è stata bloccata per due settimane da uno sciopero dei suoi 1.900 operai.

E alla fine ha annunciato di aver proposto un aumento del 24%. Le proteste però non si fermano. Ieri per la prima volta si è avuta notizia di scioperi anche a Shenyang, una città industriale nel nordest della Cina. La guerra del salario in Cina è appena cominciata.

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