Jonida Qamo, un «Angelo» da Valona

«Mi sono iscritta all’università della Bicocca, alla facoltà Servizi sociali»

Jonida Qamo, un «Angelo» da Valona

Si chiamano City Angels, gli ormai stranoti volontari di strada pronti a scattare nelle situazioni d’emergenza. Li si riconosce dai tipici baschi blu e dalle giubbe rosse con tanto di distintivo, un’aquila che protegge la città. Nati a Milano nel 1995 per iniziativa di Mario Furlan, aiutano i senzatetto, i tossicomani e le vittime della violenza con lo scopo di fornire un esempio positivo ai cittadini. Il 60 per cento degli operatori è composto da uomini, il 40 da donne e il 30 da stranieri. L’età media è tra i 20 e i 40 anni, il più anziano ne ha oltre 70. Abbiamo incontrato Jonida Qamo, classe 1982, un’“Angela” che viene da Valona, in Albania.
Come è arrivata a Milano?
«Mio padre era agronomo, la mamma lavorava in una ditta italo-albanese di import-export. Dopo il liceo classico nel 2000 sono venuta a Milano per studiare. Mi sono iscritta alla facoltà Servizi sociali alla Bicocca».
Tutto rose e fiori?
«Non molto. È stata dura affrontare la vita da sola. Mi sono iscritta a un corso dei City Angels per conoscere persone nuove e aiutare il prossimo. Terminato il corso, grazie ai City Angels, ho trovato un lavoro come mediatrice culturale linguistica al Centro Aiuto del Comune presso la Stazione Centrale. Ho lavorato lì per tre anni. Con il mio stipendio ho potuto aiutare la mia famiglia in Albania. Dopo il crac finanziario del 1997, mio padre ha dovuto emigrare a Londra. Non è stato facile per lui ricominciare da zero. Nel 2000 è ritornato a casa».
Come ha fatto ad aiutare i suoi genitori?
«Una mia amica avvocato italiana ha fatto assumere mia madre come colf a Milano. In seguito sono arrivati mio padre e mio fratello. Una sorella era già in Italia. Adesso siamo tutti insieme. Mia madre fa la baby-sitter e mio padre lavora presso l’Istituto Filologico a Milano. Stiamo anche acquistando casa».
Sugli albanesi pesano molti pregiudizi...
«Personalmente non ho mai avuto problemi. Certo, i pregiudizi ci sono ma le cose stanno cambiando. Rispetto ai primi sbarchi degli anni Novanta, le nuove generazioni arrivano soprattutto per studiare. E poi la vita in Albania sta migliorando, ci sono più posti di lavoro. Molti italiani hanno aperto delle aziende a Valona. Pagano pochissimo gli operai ma intanto il progresso va avanti».
Cosa fa con i City Angels?
«Lavoro a tempo pieno nell’ufficio di via Vallazze. Faccio la segretaria e aiuto la mia responsabile nel coordinamento degli operatori. Il martedì, dalle 21 alle 24, insieme a tre colleghi, giriamo con un’unità mobile nella nostra zona, stazione Greco e dintorni. Qui i senza dimora sono quasi tutti italiani del Sud che non hanno trovato lavoro. Alcuni sono alcolisti. Passano il tempo a girovagare, qualcuno chiede l’elemosina. Sono una quindicina, tutti single tranne una coppia. Siamo amici».


C’è una storia che ricorda in particolare?
«Quella di un ragazzino albanese di 14 anni. Era un clandestino, un disperato. L’ho portato in Questura e gli ho fatto da sorella. Ha frequentato l’istituto alberghiero e oggi lavora in un bar. Per me è una vittoria».

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