Terzo anno in Scienze della Globalizzazione, Camilla, 22 anni, sente raccontare da alcuni volontari di Milano la realtà di Dandora, Kenya, una delle discariche più estese del mondo. Un luogo lasciato in mano alla criminalità organizzata, dove nella povertà più estrema sono costretti a lavorare anche i bambini: raccolgono materiali di scarto per poi rivenderli ai cartelli che gestiscono la zona. GUARDA LE FOTO
I mesi passano, Camilla continua a studiare e nel frattempo si appassiona ai progetti di Alice for Children gestiti dalla Onlus milanese Twins International: a novembre decide di partire per dare un senso a quello che ha sentito.
Una studentessa di 22 anni che si avventura in una delle discariche più grandi al mondo. Cosa ti ha spinto a partire?
Tutto è iniziato con uno stage nel settore della cooperazione e del volontariato internazionale, ho iniziato così a sentir parlare delle baraccopoli di Korogocho e Dandora, luoghi in cui è frequente incontrare bambini che lavorano in discarica anche 12 ore al giorno per guadagnare meno di un euro. Lavoravo a Milano proprio di fianco all’ufficio di Twins International, onlus che sviluppa progetti a tutela dell’infanzia più vulnerabile a Nairobi… Ed è lì che in me è nato il desiderio di fare qualcosa, nel mio piccolo. Non so bene perché, credo il desiderio di capire e di mettermi in gioco fosse più forte delle paure.
Dopo aver visto la realtà di Dandora, credi sia possibile dare una mano a questi bambini dall’Italia? Cosa ti è rimasto più impresso?
Camminando in mezzo ai rifiuti di Dandora ti colpisce l’odore, l’assenza di orizzonte: sembra che la distesa di rifiuti non conosca fine. 850 tonnellate di scarti arrivano ogni giorno dal centro di Nairobi e vengono abbandonati nella discarica: dove tu non metteresti piede i bambini infilano le mani in cerca di materiali da rivendere. Lavorano, si feriscono, vivono in un ambiente malsano, contraggono malattie di ogni genere e tutte le mattine si recano comunque in questa distesa di rifiuti per cercare di guadagnare quell’euro al giorno che permette loro di sopravvivere. Forse è proprio per questo che se dovessi scegliere un’immagine che rappresenti quello che ho visto, in prospettiva, sceglierei un bambino di Dandora con lo zaino in spalla, pronto per andare a scuola. È impressionante vedere come questi bambini, se aiutati, riescano a sollevarsi da situazioni di sfruttamento e abusi, concentrandosi sul futuro. Escono dalle loro case, baracche in lamiera ai margini dello slum, magari non hanno mangiato, sicuramente non hanno accesso all’acqua corrente, ma si mettono in ordine, indossano la loro divisa scolastica e tentano di fare del loro meglio per andare avanti.
L’istruzione di questi bambini è stato il nodo cruciale intorno al quale hai svolto il tuo servizio di volontariato, giusto?
Sì, questo è in fondo il motivo per cui io mi trovavo in Kenya a novembre: dare il mio supporto ad un progetto di istruzione e assistenza sanitaria a questi bambini lavoratori. Tramite il programma Alice for Dandora, la onlus Twins International è riuscita a sostenere un preside kenyota davvero in gamba nel suo lavoro di recupero e scolarizzazione. Il primo obiettivo che ci siamo posti è quello di togliere dalla discarica almeno 60 bambini, per raggiungerlo servono Genitori a Distanza che dall’Italia ci aiutino con il loro sostegno.
In cosa consiste l’aiuto di un Genitore a Distanza?
Funziona così: a Dandora i bambini lavorano in discarica per procurarsi quel poco che basta per mangiare. Noi non solo li mandiamo a scuola, cercando di consegnar loro gli strumenti per un futuro autonomo, ma gli offriamo un pasto caldo al giorno e, per i casi più gravi, un aiuto alimentare anche per le famiglie. In questo modo viene meno la necessità di lavorare in discarica. Con un solo euro al giorno il Genitore a Distanza toglie di fatto il bambino che sostiene dal lavoro tra i rifiuti e gli permette di andare a scuola.
Ci sono stati momenti in cui hai avuto paura, hai avuto dei dubbi?
Dubbi sull’essere partita… No, non direi. Una volta in loco capisci perfettamente quanto ci sia da fare. Tutti questi bambini possono essere inseriti in un programma di adozione a distanza, ricevendo così un sostegno per il pagamento delle tasse scolastiche, del cibo, di una valida assicurazione medica. Per far sì che il progetto funzioni serve raccogliere le storie delle famiglie, interessarsi ai singoli bambini, caso per caso: per lavorare bene in questo campo non si può prescindere dalla trasparenza. Nei progetti di Alice for Children si lavora così, ogni bambino ha una sua storia ed esigenze specifiche da rispettare.
Ultima domanda, ora che sei rientrata in Italia, continuerai sulla strada del volontariato?
Sono all’ultimo anno del corso di laurea in Scienze della Globalizzazione e lavoro alla sera in un bar, il tempo è poco ma non ho dubbi, una volta conosciuti questi bambini, non si possono dimenticare. Il mio volontariato qui consiste anche nel raccontare le condizioni di sfruttamento a cui sono sottoposti questi bambini. Servono persone che si prendano cura di questi piccoli, che capiscano l’importanza di non guardare altrove. Se il mio esser stata tra i rifiuti di Dandora può convincere una sola persona ad attivare un’adozione a distanza e a togliere anche un singolo bambino da quell’incubo, allora direi che il mio viaggio ha avuto un senso.
Ricordiamo che i lettori de il Giornale hanno già sostenuto i progetti di Alice for Children e con il loro aiuto sono stati raggiunti successi importanti per la realtà degli slum di Nairobi. GUARDA QUI
Inoltre, il Giornale.it ha dato spazio alla testimonianza di Laura Lesèvre che ha raccontato QUI la sua esperienza presso le strutture di Alice for Children.
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