Certe accuse non si nominano neppure. Sono talmente infamanti che anche la spugna del giudice assolutore talvolta non basta. E Kevin Spacey, ieri a Torino per ritirare il premio della città, non ne ha parlato direttamente ma non è stato difficile capire i destinatari dei messaggi. A partire dall'opinione pubblica internazionale. «Quello che è uscito dai media - spiega l'attore americano, due volte Oscar per I soliti sospetti e American beauty - è lontano dalla realtà. Vivo ogni giorno, incontro persone, vado al ristorante non sono segregato in una caverna». E qualcuno che non ha smesso di credere in lui c'è stato. «Ho trovato registi e colleghi che mi hanno sostenuto. Come quando ero alle prime armi e si faticava ad avere un copione. Oggi devo dire grazie a Franco Nero per avermi chiamato nel suo film L'uomo che disegnò Dio. Non è stata importante la parte ma il gesto che ha fatto nei miei confronti di uomo e artista. Non lo dimenticherò mai».
Al se stesso più giovane scriverebbe una lettera per dargli qualche consiglio «ma non sono certo che mi darebbe ascolto. Certe cose si imparano solo con l'esperienza». E la vita insegna che occorre lottare per i propri sogni. «Io non sono diverso dagli altri» spiega un recuperato Spacey che oggi ha un presente e un futuro.
«Ho girato a Zagabria un film su Franjo Tudjman, il primo presidente croato. Uscirà a breve e - più della vita del politico - racconta lo sviluppo degli ideali che hanno portato alla democrazia». Un ritorno sul grande schermo che si coniugherà con Peter 58 in corso di riprese con Rebecca de Mornay per la regia di Michael Hall «ai quali sono grato per avermi voluto coinvolgere».
Già, la politica.
«Dall'antica Roma a oggi ripete se stessa e House of cards rappresenta qualcosa di molto vicino al reale e alla linea dei democratici negli Stati Uniti». La serie, disponibile su Netflix, ha già avuto un seguito che presto sbarcherà sulla piattaforma. «Hanno creduto in noi facendoci girare due stagioni in anticipo. Un bel segnale».
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