«L’America è una sola Basta con l’odio di razza»

Obama affronta uno dei temi più delicati della sua campagna: «La rabbia deve essere capita»

Deve spazzare via il sospetto di non essere abbastanza patriottico. E allora Obama sceglie di affrontare di petto il più scottante di questa campagna elettorale: quello della razza. Probabilmente non aveva alternativa. Colpa del suo consigliere spirituale, il reverendo Jeremiah A. Wright Jr, di cui l'America ha scoperto con orrore le idee. Sono bastati pochi passaggi in tv, durante i quali paragonava l'America al Klu Klux Klan e pronunciava frasi del tipo: «Questo è un Paese fondato e ancora oggi governato sul razzismo», che «importa droga, esporta armi e addestra assassini». Un Paese che «si è meritato l'11 settembre» e che «merita disprezzo per la guerra in Irak».
Wright è una delle persone più importanti nella vita di Obama; è il pastore che vent'anni fa ha fatto scoprire a Obama la fede cristiana, peraltro in una congregazione, quella della United Trinity Church di Chicago, nota per le sue posizione radicali afroamericane. Poi sono saltati fuori su YouTube video che mostrano lo stesso Barack mentre canta l'inno nazionale senza portare al mano al cuore e mentre fa comizi senza indossare spille o gagliardetti a stelle e strisce. Il senatore dell'Illinois ha tentato di correre ai ripari prendendo subito le distanze dal reverendo, ma gli sono bastate poche ore per capire che non sarebbe bastato ad arginare una polemica che, alimentata dai blog e dai commentatori di destra, aumentava anziché placarsi.
Un candidato sospettato di insufficiente patriottismo? Inconcepibile in un’America dove questo resta uno degli elementi centrali dell'identità nazionale. E allora Obama ha preso coraggio pronunciando un discorso molto atteso in Pennsylvania, lo Stato che andrà alle urne il 22 aprile per le primarie. Un Obama che si è proposto con forza come il candidato capace di superare per sempre le divisioni razziali. Ha condannato i sermoni di Wright, affermando però che bisogna interpretare i motivi del risentimento di molti neri prima di giudicare. «La rabbia è reale, è potente. Desiderare semplicemente che non ci sia, condannarla senza capire le sue radici può servire solo ad aumentare il baratro di incomprensioni esistente tra le razze», ha dichiarato, presentandosi, al contempo, come il difensore delle molte famiglie bianche e ispaniche emarginate dalla società.
Ha citato Geraldine Ferraro, la consigliera di Hillary Clinton, costretta alle dimissioni per aver detto che «se Obama non fosse stato nero non avrebbe avuto questo successo». E si è chiesto se tutto questo abbia senso. «Il Paese deve decidere se accettare che la razza venga usata come diversivo o se invece sia giunto il momento di dire: non questa volta».
Ha professato la sua dedizione per l'America, portando più volte la mano al cuore, ma non ha rinnegato Wright: «Per quanto sia imperfetto, per me è una persona di famiglia, ha rafforzato la mia fede, celebrato il mio matrimonio, battezzato le mie figlie». E nonostante tutto «contiene in sé le contraddizioni, il bene e il male della comunità che ha diligentemente servito per così tanti anni: non posso rinnegarlo più di quanto io possa rinnegare la comunità nera».

Dunque un Obama fiero di essere di colore, ma al contempo orgoglioso di essere figlio di una bianca. Chiede all'America di voltare pagina coniugando multietnicità e patriottismo. Un bel discorso, basterà?
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