L’amore come un gioiello smarrito da ritrovare

«La regola degli avverbi» di Daniel Hadler racconta il gioco a rimpiattino senza soluzione dei sentimenti

Volendo si può farla molto breve. Tagliare corto e dire subito, senza mentire: chi legge questo libro ci troverà un diamante vero. Ma sarebbe un peccato. Sarebbe guastato tutto il gioco degli «Avverbi», inventato da Daniel Handler per una festa dove ci si diverte sul serio solo a patto di mandare a farsi benedire contenuto, soluzione, il dunque, il quid, il tesoro nascosto da scovare. Regola buona per ogni gioco, festa o fiction. La regola degli avverbi (Alet, pagg. 284, euro 14) - titolo scelto dal 37enne di San Francisco per la sua raccolta di racconti, o romanzo a chiave dalle molte serrature, staffetta corsa senza ostacoli e con un traguardo a tutti gli angoli, giro dell’oca dove gareggiano gli uccelli ladri, caccia al tesoro dove ti perdi via e quando meno te l’aspetti vai a sbattere il naso contro il premio - la regola è, dicevamo: non importa Chi, Cosa Dove, Quando o Perché. «Chi se ne frega», Handler dixit, delle ritrite cinque W (Who, What, Where, When, Why) che si vuole spremano il succo d’ogni novità e notizia.
A chi osservi l’indicazione grammaticale in copertina interessa solo il Come. Come si arrivi alla pietra preziosa nascosta nel cuore di queste pagine. È l’amore? Perché no. Cosa se non l’amore sta nascosto dentro un cuore?, potremmo chiedere facendo il verso alle domande che Handler via via pone senza dare - perché scontata, o poco divertente - una risposta. Tipo: «A chi altrimenti potrei dedicare un libro sull’amore?»; «Che vuol dire da dove proviene la musica? Quando mai la musica proviene da qualche parte?»; «E perché non prendere al volo un che d’inatteso e grazioso se ti appare in un taxi?».
Adocchiato «Immediatamente» dal sedile posteriore incrociando nello specchietto lo sguardo dell’autista - che, giocoforza, non sarà più immediato come da titolo: l’ora sarà fuggita, l’attimo perduto, il colpo di fulmine spento -, o diffuso nell’aria come la musica, l’amore pervade da cima a fondo tutte le storie. Modulate su tutte le variazioni della mente: Ovviamente, Brevemente, Erroneamente, Gelidamente, Profondamente... Il diamante, invece, è incastonato nel centro magico da cui tutte le storie scaturiscono. Lo troverete. Non è esca per il lettore, specchietto per le allodole. Semmai uno scherzo per le gazze: segrete artefici della trama di queste love story. E certo una sorpresa per l’autore che, seguendo il loro volo furtivo inciampa nel duro, purissimo gioiello di famiglia intagliato in Africa, regalato a mamma fidanzata in Germania, trasportato in Usa nel tacco della nonna, smarrito come un ago nel pagliaio su un sentiero di ghiaia, ritrovato nella pentola da cui sgorga l’arcobaleno o nelle righe di un romanzo di Paula Sharp. Eccolo.

Ma anche puntando il dito sulla pagina dov’è lì che brilla non si sarà stretto in mano un bel niente. Il bello del gioco, la gioia dell’anello, stava tutta nei rimbalzi, i riverberi, i riflessi che irradiavano dalle sue - avverbiali - sfaccettature.

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