L’arte nascosta di Carla Maria Maggi

Una Milano trascurata, quella degli anni Trenta. Stretta, dal punto di vista artistico, tra la ventata futurista e la visione classicista di inizio Novecento da una parte, e la tragedia della guerra dall'altra, da cui scaturiranno esiti nuovi e diversi. Su questo decennio «in sordina», un rinnovato interesse critico tende oggi a riscoprire un gruppo di artisti apparentemente appartato di fronte all'imperante cultura fascista che esalta l'homo novus, eroico ed «eterno», bene esemplificato dalla pittura sironiana e dalla grande arte murale. I pittori «chiaristi» hanno invece dell'uomo e della sua vita una visione lirica e malinconica, un senso di precarietà e fragilità aleggia sul chiarore soffuso delle loro tele, sulle figure dalle linee sfumate i cui contorni evanescenti tendono a perdersi nella luce. Ai pittori chiaristi il Comune di Milano, con il concreto appoggio della Camera di Commercio, dedica ora una bella mostra aperta al pubblico da oggi a Palazzo Reale (fino al 5 settembre), impeccabilmente curata da Elena Pontiggia, che del Novecento italiano è specialista e instancabile ricercatrice. «Il Chiarismo. Omaggio a De Rocchi» (catalogo Skira) riporta alla memoria un gruppo di giovani artisti fra i diciotto e i trentadue anni che all'inizio degli anni Trenta gravitano tra il Caffè Mokador e il Caffè Craja e, soprattutto, attorno alla galleria Il Milione e alla figura dell'altrettanto giovane critico Edoardo Persico, approdato da Napoli a Milano, dove morirà. Nessun manifesto programmatico, nessun proclama; piuttosto li unisce un comune sentire che potrebbe definirsi intimista o neoromantico, un sentimento della vulnerabilità dell'uomo che, in quel momento di grandi certezze nazionali, sembra quasi presagire la vicina tragedia. In oltre centodieci opere, la rassegna parte dalle anticipazioni di Renato Birolli, Aligi Sassu e Pio Semeghini (di cui espone alcuni affascinanti inediti come Arlecchino e Tassì rosso nella neve di Birolli), per arrivare ai chiaristi veri e propri - Angelo Del Bon, Cristoforo De Amicis, Umberto Lilloni, Adriano Spilimbergo, Oreste Marini, Renato Vernizzi, Attilio Alfieri - ponendo al centro la figura di Francesco De Rocchi, nato a Saronno nel 1902 e morto a Milano nel 1978. Affascinato in giovanissima età dalle opere di Gaudenzio Ferrari nel Santuario di Saronno, De Rocchi debutta con un mondo di creature angeliche immerse in un'atmosfera madreperlacea, quasi monocroma, che colpirà i critici. Se a De Rocchi è dedicata la maggiore attenzione, l'opera-manifesto della mostra può considerarsi Lo schermidore di Del Bon, vincitore nel 1934 del Premio Principe Umberto: non certo un atleta glorioso e vitale ma un uomo malinconico, stanco, che lascia cadere il fioretto anziché imbracciarlo. In quella colta Milano, così lontana, il sodalizio dei pittori chiaristi include anche i poeti, come Sergio Solmi e Vittorio Sereni, di cui De Rocchi fu amico.

E proprio nella poesia «Diana» di Vittorio Sereni sembra di ritrovare le pallide luci aurorali di De Rocchi: «Torna il tuo cielo di un tempo/ sulle altane lombarde,/ in nuvole d'afa si addensa...». Siamo ormai agli Anni Quaranta. Di lì a poco resterà solo una città ferita e bruciata.

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