L’attentato deciso da Natale «Non è il raptus di un disperato»

Un attentato più volte pensato e ripensato, quello alla caserma Santa Barbara di piazzale Perrucchetti. Addirittura progettato qualche giorno prima di Natale. Come sta dimostrando l’analisi del folto materiale ritrovato nei computer dell’attentatore e dei suoi complici («ne hanno almeno uno a testa» affermano gli investigatori) l’esplosione è stata partorita dalla mente di Mohamed Game già dalla metà del dicembre scorso. Ha preso corpo, si è definita, ha subito una serie d’interruzioni (dovute a ragioni ancora tutte da accertare) quindi è stata riformulata e nuovamente ridefinita. Ed è sempre più evidente che il libanese, da vero kamikaze, non avrebbe esitato a morire nel nome di Allah. Un’involuzione religiosa la sua legata sia al personale disagio sociale (l’inizio del fallimento della sua attività) che ad altre componenti, ancora tutte da esplorare.
«L’idea dell’attentato è stata sua, non c’è dubbio, le sue ammissioni parlano chiaro - spiegano gli inquirenti -. Tuttavia il disagio sociale di Game non è che una concausa alle motivazioni alla base del suo radicalismo religioso: altre ragioni lo hanno condotto al gesto di lunedì 12 ottobre. Sarebbero moventi molto più interessanti quelli che lo inducono a farsi esplodere. Siamo quasi certi che, nonostante il libico abbia comprato il fertilizzante alla base della miscela esplosiva insieme all’egiziano Mahmoud Abdelaziz Kol, sia quest’ultimo che Israfel Imbaeya siano stati colti di sorpresa dalla realizzazione materiale dell’attentato. Forse hanno sottovalutato il disagio psicologico di Game che, comunque, non li avrebbe messi al corrente della sua decisione. Ecco: noi vogliamo capire cosa o chi l’hanno spinto ad agire».
Ieri il ministro dell’Interno Roberto Maroni in visita all’Aquila è stato molto esplicito su questo punto. «Quella di Mohamed Game è “una personalità complessa”. Lo dimostra il fatto - prosegue Maroni - che, dopo nove anni di vita pacifica, ha deciso di diventare un terrorista per fatti che avrebbero portato una persona normale semplicemente a cambiare lavoro e ambiente».
Per Maroni, Game «non è un lupo solitario». E anche se gli investigatori si ostinano a dichiarare che i tre arrestati sono fuori da ogni contesto organizzativo, che non esiste una filiera d’indottrinamento o reclutamento religioso (anche se, quasi certamente, l’ispirazione ideale arriva da lì) e che non si sono trovate liste di nomi o elenchi di obbiettivi da colpire, il ministro leghista insiste: «A dimostrazione della pericolosità di quanto è avvenuto c’è un elenco di nomi, che non sono una mailing list per inviare petizioni, come qualcuno ha detto. Perché se si svolge attività di ricerca sui famigliari di queste persone non è certo per inviare una e mail».
Roberto Maroni ha poi aggiunto che, «anche sul fronte del terrorismo internazionale di matrice islamica stiamo indagando e attuando un monitoraggio e una valutazione di questa novità».
Del resto gli stessi inquirenti milanesi non hanno mai negato che, anche in questo caso - cioè anche parlando di homegrown terrorism, cioè «terrorismo fatto in casa» - si tratta pur sempre di fondamentalisti islamici.


Intanto ieri Mahmoud Abdelaziz Kol, il complice connazionale di Game, tramite il suo legale Lorenzo Piazzese e dopo aver risposto per oltre un’ora alle domande del pm Maurizio Romanelli che lo sentirà nuovamente anche nei prossimi giorni, ha fatto sapere di essere «estraneo alla consapevole condotta portata avanti da altri e a qualsiasi attività terroristica».
«Non è un jihadista - ha sottolineato l’avvocato - ma una persona molto provata e molto fragile che sta vivendo un dramma in carcere».

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