L’autopsia: ucciso dalla rottura dell’arteria

Visitato al Galeazzi gli diagnosticarono una lombosciatalgia guaribile in tre giorni

L’autopsia: ucciso dalla rottura dell’arteria

Va in ospedale con forti dolori al petto, al braccio e alla gamba e i medici lo dimettono dopo 3 ore diagnosticandogli una lombosciatalgia. Lui torna a casa e muore prima di sera. La famiglia presenta una denuncia, il pm indaga i due medici che l’hanno visitato e dispone l’autopsia. Esame che ieri ha individuato le cause esatte del decesso: la rottura dell’arteria iliaca, all’altezza del bacino, che ha provocato uno scompenso nella circolazione e infine l’arresto cardiaco. «È presto per dire se una visita più approfondita poteva salvargli la vita. Diciamo solo che gli accertamenti sono appena iniziati e che la famiglia vuole vederci chiaro» commenta l’avvocato Luigi Acanfora.
La vittima Giuseppe Barletta è un uomo di 41 anni «sano come un pesce» che fa la guardia giurata. Dopo un primo matrimonio, dal quale è nata una ragazza che ora ha 16 anni, divorzia e si sposa una seconda volta. Il 3 gennaio, giorno di riposo per lui, si sveglia con qualche fastidio che presto si trasforma in forti dolori estesi alla gamba, al petto e al braccio. Alla fine non ne può più, chiama un collega quindi il 118. L’ambulanza lo porta al Galeazzi dove lo raggiungono anche la moglie e il padre. I medici lo visitano, gli diagnosticano una «lombosciatalgia», gli danno qualche antinfiammatorio e lo mandano a casa con una prognosi di tre giorni. Giuseppe Barletta si mette a letto ma verso sera si aggrava. Viene chiamato ancora il 118 però quando il medico arriva alle 20,23 può solo constatarne il decesso.
Ieri dunque l’autopsia che ha rilevato appunto la rottura dell’arteria iliaca che avrebbe messo in moto un meccanismo mortale. «Un po’ difficile da spiegare per un profano - premette Acanfora - in base a quanto mi ha spiegato il mio consulente, che ha assistito all’esame autoptico, la rottura avrebbe creato uno scompenso circolatorio, con relativo aumento della pressione sul cuore determinando un “tampone cardiaco” che ha causato l’arresto e quindi la morte».
Questa la causa, ma i medici dovranno rispondere anche a una seconda domanda: Giuseppe Barletta poteva essere salvato con una visita più accurata e con cure, di conseguenza, più appropriate? «Aspettiamo la consegna della relazione completa.

Di sicuro io posso solo aggiungere che Giuseppe Barletta non aveva particolari patologie e che quel giorno al Galeazzi nessuno medico gli misurò la pressione né gli fece un elettrocardiogramma, ma neppure una semplice auscultazione della frequenza cardiaca».
Cauto anche Fabio Belloni, difensore di uno dei medici indagati: «Dalle prime indicazioni emerge un quadro eccezionalmente complesso che richiede tempo per capire le definitive cause della morte».

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