Il 12 maggio 2007 rappresenta una svolta sia politica sia culturale. Per il numero dei convenuti a piazza S. Giovanni ma, ancor più, per ciò che quella massa impressionante rappresenta. In una piazza gremita in prevalenza da cattolici, sono passati tanti esponenti della politica: i cattolici di tutti i partiti di destra e di centro e i laici del centrodestra che in questi anni non si sono tirati indietro di fronte allesigenza daggiornare la loro tradizione al cospetto delle sfide che il terzo millennio ha portato con sé. Non cera la sinistra e, in particolare, non cera quella post-comunista. La circostanza ha dellincredibile. Fino a poco tempo fa sarebbe stato difficile anche solo immaginare che gli eredi di Togliatti e Berlinguer potessero lasciare una siffatta manifestazione senza neppure una loro rappresentanza simbolica. Si obietterà: non sono andati neppure a Piazza Navona, dove andava in scena lorgoglio sedicente laico. Ma la constatazione peggiora la diagnosi. Perché sottolinea un imbarazzo che si rifugia nellastensionismo: scelta comprensibile in una dimensione personale, non in quella politica. Nella vicenda «Dico», infatti, assieme a Rosy Bindi è definitivamente naufragato lo «schema concordatario». Quello per il quale le questioni eticamente sensibili si sarebbero dovute preventivamente trattare con la Chiesa e poi, ad accordo raggiunto, presentare nella dimensione pubblica. Benedetto XVI aveva già provveduto, e da par suo, a smontare ogni tentativo in tal senso. La manifestazione di Piazza San Giovanni ha spazzato via anche lultima illusione. Ha chiarito come oggi le questioni che riguardano il concepimento, la vita e la morte dellindividuo rappresentino il sangue e i nervi dello scontro politico. E di conseguenza, una forza politica che vuol essere interprete attuale delle grandi tradizioni del cattolicesimo e del comunismo tutto può fare tranne ritirarsi sullAventino.
Il significato culturale della manifestazione aggrava il problema della sinistra. Lo hanno detto in tanti: non cè stata una piazza «legittimista», tanto meno di destra. La cifra ricercata dagli organizzatori non è stata neppure quella della famiglia «Mulino Bianco», perfetta e orgogliosa della sua perfezione. In quella piazza vi erano persone normali, assieme ai propri inevitabili fallimenti e alle loro contraddizioni. Vi erano uomini e donne orgogliosi dessersi «rifatti unesistenza». E donne musulmane che individuano nella nostra famiglia un traguardo di dignità. Nessuno ha scagliato la prima pietra né in piazza né dal palco. Tra un canto religioso e una canzone di Povia abbiamo udito tutti Savino Pezzotta difendere, innanzi tutto, la famiglia che nasce dal matrimonio civile. Ed Eugenia Roccella ritenere il divorzio un punto di forza nella battaglia contro i Dico. Abbiamo tutti preso atto della disponibilità a riconoscere ogni diritto sul piano individuale per chi voglia immaginare la propria esistenza al di fuori del matrimonio.
Altro che rivincita sul 12 maggio 1974, quando un referendum popolare confermava la legge sul divorzio! La piazza del 12 maggio 2007 non ha guardato al passato, ma al futuro. Si è mobilitata contro il rischio che una valanga di nuovi diritti, suscitati dal sogno antropologico della perfetta e assoluta autodeterminazione delluomo, possa fiaccare una delle forze più profonde che lItalia possiede. Ha interpretato la preoccupazione che sotto una patina di progressismo da salotto stia incubando una nuova versione della «presunzione fatale» che, come in passato, ambisca a spazzar via tradizioni, convenzioni, rispetto. A piazza San Giovanni si è respirata un'aria di libertà imperfetta, come la libertà deve per forza essere. Quellaria lhanno percepita anche tanti laici in cammino, che nel 1974 erano a Piazza Navona e che ieri hanno raggiunto Piazza San Giovanni.
Gaetano Quagliariello
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