nostro inviato a Erba (Como)
«Io sono convinto che lui non c'entri niente, non c'entri niente. Mi ha telefonato dalla Tunisia. È la, da qualche giorno. E poi non avrebbe mai fatto male a suo figlio». L'abbiamo conosciuto, un mese fa, con questa frase, Carlo Castagna, papà di Raffaella, marito di Paola. L'abbiamo conosciuto così, al cancello della sua azienda di mobili, ovvero metà della sua vita. Gli occhi umidi di pianto perché l'altra metà della sua vita, quella più importante, quella degli affetti e dell'amore, gliela avevano spazzata via la sera prima.
Una sera gelida come la lama di un coltello. Quando una cappa d'odio, buia e soffocante, è scesa sulla cascina di via Diaz. «Lui non c'entra niente, sono convinto». Ripeteva la mattina dopo, chiudendosi in quel giaccone marrone, avvolgendosi in quella sciarpa grigia, che gli hanno fatto compagnia in questa lungo mese di strazio. L'abbiamo conosciuto che scagionava, sorprendentemente, prim'ancora degli investigatori, il genero tunisino. Quell'Azouz Marzouk che fino a quel giorno non aveva mai frequentato ma solo sopportato. Giusto perché era il marito di sua figlia Raffaella e per il quale, di fatto, aveva drasticamente ridotto i rapporti con la medesima. L'abbiamo conosciuto con quella frase e ci siamo congedati da lui, ieri, un mese dopo, annotando sul taccuino parole come «perdono», «pietà». Le nuove parole che ha voluto distillare come altre gocce del suo buon senso. Parole che rimbombano come il silenzio assordante che sembra circondare ora la sua villa, la sua azienda, il suo impero imprenditoriale. Parole che stridono, stupiscono, spiazzano. Addirittura, si potrebbe persino dire che fanno inorridire, se l'orrore vero in questa vicenda non fosse tutto alloggiato nei cuori e nelle menti da cui è nata la strage della cascina gialla. «Bisogna perdonare anche se sono gli assassini dei tuoi famigliari. L'odio è una strada chiusa che non porta da nessuna parte. Sono più vittime quelli che hanno ucciso che chi è morto. Noi non proviamo odio, la nostra strada apre le porte al perdono».
«Questo perdono proprio non l'ho capito. Il perdono è qualcosa che non sta sulla punta della lingua, ma viene fuori dal profondo del cuore - dice don Gino Rigoldi, in mezzo all'umanità sgangherata della droga da sempre -. O questa persona è proprio un santo o ha avuto una folgorazione dello Spirito santo. Una persona ha bisogno di metabolizzare, di rivedere le facce insanguinate dei parenti. Il perdono è un processo lungo che deve essere molto consapevole. Mi lascia perplesso non tanto la sincerità di Carlo Castagna quanto l'autenticità del suo gesto».
Già , perché perdona Castagna? Perché davvero come dice lui non troverebbe più nemmeno il coraggio di recitare il Padre nostro, se non perdonasse? Perché è davvero un uomo pio, che tutte le mattine va a messa. Un uomo che trova il coraggio, che ha trovato il coraggio di andare avanti guardando proprio la sofferenza che traspare da quel Crocifisso che contempla tutte le mattine nella chiesa di Santa Maria Nascente a Erba, dove oggi darà finalmente addio al corpo straziato di sua moglie Paola. Perché perdona Carlo Castagna? Forse per chiudere in fretta i conti con una vicenda che era già mezza chiusa in partenza con quella porta sbattuta in faccia a Raffaella e ad Azuz al momento del loro matrimonio? O perché, come azzarda qualcuno, guardandolo dritto in quegli occhi che sembrano assopirsi da un momento all'altro, persino davanti alle telecamere di Porta a Porta, l'hanno talmente imbottito di tranquillanti, che non troverebbe la forza nemmeno di alzare un dito e puntarlo contro gli assassini di moglie, figlia e nipotino?
Forse per tenere uniti i cocci di una famiglia a pezzi, dove i suoi due figli che, per loro stessa ammissione non avrebbero nemmeno preso un caffè al bar, per strada, con Raffaella, si sono allineati solo in tempi recenti e solo evidentemente dopo un summit, al buonismo imposto dal patriarca. O forse per rafforzare quell'immagine di uomo generoso, irreprensibile che fa beneficenza e che come tale, non può permettersi di innescare improvvisamente la retromarcia della rabbia che un dolore come il suo imporrebbe.
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